Perché piacciono i ragazzi di Casa Pound?
“Nessun Dolore, Una Storia di CasaPound (Rizzoli, 16,50 €)”. Primo romanzo di Domenico Di Tullio, avvocato e giornalista de La Stampa. Autore già di “Centri sociali di destra” (Castelvecchi, 2006), reportage sul mondo delle “occupazioni non-conformi”. Caso editoriale della stagione. Già alla terza edizione. 13.000 mila copie vendute in meno di un mese. Un successo che “fa discutere”. Sabato presentazione a Catania, organizzata dal Cervantes.
di Fernando M. Adonia da sudpress.it
Casa Pound è la prova che la socialità non è di esclusivo appannaggio della sinistra.. Il centro sociale a destra per eccellenza. Un tornado di freschezza nel panorama politico nostrano. Luogo che da anni attira l’attenzione di sociologi, giornalisti e politici. Ma anche di artisti, intellettuali-non-allineati e giovani ribelli. Sarà per la velocità, tutta futurista, dell’agire.
Sarà per la concretezza dei temi affrontati, uno su tutti la battaglia per Il Mutuo Sociale. Sarà pure per lo stile. Per la familiarità con i nuovi canali comunicativi. Ma anche per l’ardore e per la pulizia con il quale si è creata una discontinuità ben netta con le parole d’ordine della destra tradizionale.
Come quando, nell’autunno scorso, le “tartarughe” si schierano contro le aggressioni agli omosessuali a Roma, suscitando addirittura l’imbarazzo del sindaco Gianni Alemanno. Un pacchetto dunque imprevedibile. Appunto per questo –prendendo a prestito le parole di Antonio Rapisarda del Secolo d’Italia- «solo un romanzo poteva riuscire a inquadrare davvero il “fenomeno CasaPound”». È solo attraverso un racconto, un filo che lega dei fatti, delle aspirazioni, delle idee, che si sfondano le linee dell’interlocuzione. In altri termini: una fiaba. E, perché no, un mito. Insomma una novità che, nel bene o nel male, va raccontata, va fatta sapere.
Romanzo bello davvero. Una vicenda che appassiona e fa agitare il sangue nelle vene. Che provoca “azione”. Grazie anche ad una prosa agile e piacevole, ma non per questo banale. Tutt’altro. Difficile saldare a delle suggestioni giovanilistiche degli affondi squisitamente didascalici. Un buon modo per raccontare, oltre al mondo di « Casapa’», la lotta del popolo Karen (Birmania) e dell’ «esercito di Dio»; ma anche per gettare uno sguardo dentro il dramma delle carceri. Bravo Di Tullio. Ottimo pure l’espediente narrativo, incentrato
tutto sulla storia d’amicizia e militanza tra Flavio e Giorgio, l’uno di Roma Nord, l’altro della Garbatella. Un patrizio e un plebeo, per semplificare. Ma così si banalizza. L’esperienza comune nel Blocco, braccio studentesco di CasaPaund, appiana ogni differenza, li rende fratelli. Nobili, fieri e sfacciati allo stesso tempo. Belli perché attivi. Due piccoli leader che incutono timore e rispetto. Coraggiosi e leali. Ma che non vivono nel ghetto, luogo tipico dell’immaginario neo-fascistoide. Il loro asso nella manica è stare tra la gente, nei luoghi alla moda, imponendo e sfoggiando il proprio stile senza sconti a nessuno, neanche e sé stessi.
È nella spavalderia di questi ragazzi che si rivela la risposta alla domanda di Emanule Toscano de L’Espresso: «perché piace Casa Paund?». È grazie alla gioia e alla vitalità che questi ragazzi aggregano e si riappropriano di una spazio, la città, che gli appartiene di diritto. La sinistra non aggrega più perché è triste e uggiosa. Amen! Toscano e i suoi si mettano il cuore in pace. Ed ancora nei volti scoperti e solari di quel manipolo di ragazzi che resistettero alla carica dei “compagni” a Piazza Navona, che si registra la
vera differenza tra i vecchi e i nuovi ribelli: gli uni trasparenti, gli altri invece fasciati in viso e corrosi dalla rabbia. Un differenza non da poco, quasi antropologica. Qui sta lo scarto fra chi legge ancora il tempo attuale
con i paradigmi e gli odi dei nostri nonni, sognando la Rivoluzione cubana e il sole dell’avvenire; e chi, “strafottendosene”, dice sorridendo: «Oggi non avremmo fatto la rivoluzione, ma quanto ci siamo divertiti…». Nessun Dolore, deve dunque far discutere, non più allarmare. Nessuno in buona fede ha paura di
questi ragazzi. La stagione dei “buoni maestri” che impongono quali romanzi e quali autori andrebbero letti è finita. E pure in malo modo.
di Fernando M. Adonia da sudpress.it
Casa Pound è la prova che la socialità non è di esclusivo appannaggio della sinistra.. Il centro sociale a destra per eccellenza. Un tornado di freschezza nel panorama politico nostrano. Luogo che da anni attira l’attenzione di sociologi, giornalisti e politici. Ma anche di artisti, intellettuali-non-allineati e giovani ribelli. Sarà per la velocità, tutta futurista, dell’agire.
Sarà per la concretezza dei temi affrontati, uno su tutti la battaglia per Il Mutuo Sociale. Sarà pure per lo stile. Per la familiarità con i nuovi canali comunicativi. Ma anche per l’ardore e per la pulizia con il quale si è creata una discontinuità ben netta con le parole d’ordine della destra tradizionale.
Come quando, nell’autunno scorso, le “tartarughe” si schierano contro le aggressioni agli omosessuali a Roma, suscitando addirittura l’imbarazzo del sindaco Gianni Alemanno. Un pacchetto dunque imprevedibile. Appunto per questo –prendendo a prestito le parole di Antonio Rapisarda del Secolo d’Italia- «solo un romanzo poteva riuscire a inquadrare davvero il “fenomeno CasaPound”». È solo attraverso un racconto, un filo che lega dei fatti, delle aspirazioni, delle idee, che si sfondano le linee dell’interlocuzione. In altri termini: una fiaba. E, perché no, un mito. Insomma una novità che, nel bene o nel male, va raccontata, va fatta sapere.
Romanzo bello davvero. Una vicenda che appassiona e fa agitare il sangue nelle vene. Che provoca “azione”. Grazie anche ad una prosa agile e piacevole, ma non per questo banale. Tutt’altro. Difficile saldare a delle suggestioni giovanilistiche degli affondi squisitamente didascalici. Un buon modo per raccontare, oltre al mondo di « Casapa’», la lotta del popolo Karen (Birmania) e dell’ «esercito di Dio»; ma anche per gettare uno sguardo dentro il dramma delle carceri. Bravo Di Tullio. Ottimo pure l’espediente narrativo, incentrato
tutto sulla storia d’amicizia e militanza tra Flavio e Giorgio, l’uno di Roma Nord, l’altro della Garbatella. Un patrizio e un plebeo, per semplificare. Ma così si banalizza. L’esperienza comune nel Blocco, braccio studentesco di CasaPaund, appiana ogni differenza, li rende fratelli. Nobili, fieri e sfacciati allo stesso tempo. Belli perché attivi. Due piccoli leader che incutono timore e rispetto. Coraggiosi e leali. Ma che non vivono nel ghetto, luogo tipico dell’immaginario neo-fascistoide. Il loro asso nella manica è stare tra la gente, nei luoghi alla moda, imponendo e sfoggiando il proprio stile senza sconti a nessuno, neanche e sé stessi.
È nella spavalderia di questi ragazzi che si rivela la risposta alla domanda di Emanule Toscano de L’Espresso: «perché piace Casa Paund?». È grazie alla gioia e alla vitalità che questi ragazzi aggregano e si riappropriano di una spazio, la città, che gli appartiene di diritto. La sinistra non aggrega più perché è triste e uggiosa. Amen! Toscano e i suoi si mettano il cuore in pace. Ed ancora nei volti scoperti e solari di quel manipolo di ragazzi che resistettero alla carica dei “compagni” a Piazza Navona, che si registra la
vera differenza tra i vecchi e i nuovi ribelli: gli uni trasparenti, gli altri invece fasciati in viso e corrosi dalla rabbia. Un differenza non da poco, quasi antropologica. Qui sta lo scarto fra chi legge ancora il tempo attuale
con i paradigmi e gli odi dei nostri nonni, sognando la Rivoluzione cubana e il sole dell’avvenire; e chi, “strafottendosene”, dice sorridendo: «Oggi non avremmo fatto la rivoluzione, ma quanto ci siamo divertiti…». Nessun Dolore, deve dunque far discutere, non più allarmare. Nessuno in buona fede ha paura di
questi ragazzi. La stagione dei “buoni maestri” che impongono quali romanzi e quali autori andrebbero letti è finita. E pure in malo modo.
Nessun commento: