Mancia e Verbano: due delitti per una sola entità
Internet è uno straordinario accumulo di notizie. La mia paranoica tendenza a collezionarle in tempo reale ha subito una sorta da acquietamento da quando mi sono reso conto che poi se ti serve qualcosa la risacca di Google bene o male te la risbatte sulla spiaggia. Dopo un lungo periodo di navigazione pigra nei giorni scorsi ho cominciato a raccogliere notizie per il prossimo progetto editoriale e così mi sono imbattuto in questa interessante intervista di luglio. Sandro Provvisionato racconta a Maria Simonetti per L'Espresso il libro che sta scrivendo con Adalberto Baldoni su due omicidi di trent'anni: Valerio Verbano e Angelo Mancia Connessi nello spazio (due chilometri di distanza in un'area di Roma Est: Montesacro-Talenti-Trieste-Africano, massacrata in quegli anni dalla violenza politica) nel tempo (tre settimane: dal 22 febbraio al 12 marzo 1980) e soprattutto nell'idea che il secondo (missino moderato ma con diversi precedenti di violenza politica) fosse stato ucciso per vendicare il primo (autonomo ucciso in casa sotto gli occhi dei genitori). Due delitti insoluti come tanti. E Provvisionato e Baldoni hanno un'idea forte a unirli è il fatto che ad ammazzarli è stata un'unica entità, interessata a innalzare il livello di tensione.
Cold case anni 70/ Verbano e Mancia: un libro
Postato in Link il 26 luglio, 2010Militante de “il manifesto” all’epoca, poi direttore di Radio Città Futura, poi cronista e inviato di guerra, oggi il giornalista Sandro Provvisionato, autore del settimanale del Tg5 “Terra!”, è direttore del CeAS, il Centro Alti Studi per la lotta al terrorismo, e del sito www.misteriditalia.it . Insieme ad Adalberto Baldoni, già autore con lui di “Anni di piombo” (2009 Sperling & Kupfer), sta preparando un nuovo libro (uscirà nel 2011) su due dei più raccapriccianti e anomali delitti senza verità compiuti in quegli anni: l’omicidio dello studente Valerio Verbano, militante del collettivo autonomo di Valmelaina (che faceva capo a quello di Via dei Volsci) ammazzato con un colpo alla schiena il 22 febbraio 1980 nella casa dei genitori a Monte Sacro, Roma; e quello del 27enne Angelo Mancia, attivista missino e fattorino a “Il Secolo d’Italia”, il quotidiano missino, finito con un colpo alla nuca sotto casa sua, a Talenti, alle 8.27 del mattino di qualche settimana dopo, il 12 marzo 1980.
Qual é l’ipotesi sostenuta nel vostro libro?
«Che questi due delitti non siano avvenuti, come si è voluto e si vuole far credere, per rappresaglia, cioè i “neri” uccidono Verbano e per vendicarlo i “rossi”ammazzano Mancia. L’impressione è che in quegli anni si sia inserito nel movimento giovanile qualcosa – la famosa “entità”- proprio per aumentare la tensione e fomentare la tesi degli opposti estremismi».
Su cosa vi basate per dimostrarlo?
«Nei due delitti ci sono molte cose che non tornano, soprattutto per Mancia ma anche per Verbano. Cominciamo da lui. Ho parlato con tutti gli ex milianti dei Nar (il gruppo armato di estremisti di destra capitanato da Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, n.d.r.), che ormai sono tutti a piede libero dopo anni di galera: negano di essere stati loro. Di tutti i pentiti dei Nar, che sono stati moltissimi, nessuno ha mai parlato del delitto Verbano. Mi chiedo, perchè nascondersi ancora, a questo punto? C’é qualcosa che non quadra, soprattutto nella dinamica dell’aggressione».
Carla Verbano, mamma 86enne di Valerio, nel libro “Sia folgorante la fine” (2010 Rizzoli) scritto con Alessandro Capponi, racconta che quel giorno bussarono alla porta di casa sedicenti “amici di Valerio”: lei aprì e insieme al marito venne legata e imbavagliata in camera da letto. I tre aspettano per più di un’ora in casa rovistando e cercando e poi, quando il ragazzo arriva, gli sparano a morte.
«Ma cosa, cercavano? Il famoso dossier che Valerio compilava, schedando e fotografando estremisti di destra, era una cosa giovanile, un po’da dilettanti. Non é che contenesse chissà cosa. Invece, aspettare due ore una vittima a casa sua è roba da serivizi segreti, non da militanti. Sarebbe stato più facile aspettarlo sotto casa per sparargli: dentro, in due ore poteva succedere qualsiasi cosa, poteva arrivare qualcuno. Stessa cosa per Mancia: perchè due uomini aspettano tutta la notte, dormendo in un pulmino sotto casa sua, per sparare ad Angelo che esce tutte le mattine regolarmente alle 8.30 per andare al lavoro? Il caso Mancia è ancora più complicato, poi, per quella rivendicazione della Volante Rossa che non sta in piedi».
Eppure Carla Verbano è sicura che ad uccidere Mancia siano stati quelli di sinistra, che «all’epoca lo rivendicarono sui giornali».
«Ma la rivendicazione dei compagni organizzati nella Volante Rossa non parla di ritorsione per Verbano bensì per Roberto Scialabba, elettricista 24enne non impegnato politicamente ammazzato ben due anni prima. Perchè i rossi avrebbero ucciso Mancia per vendicare Scialabba senza dire una parola su Verbano, eliminato solo due settimane prima? La Volante Rossa, poi, non esiste. Qualsiasi gruppo lascia una traccia, un militante, un pentito. Qui, tabula rasa: hanno firmato tre volantini contradditori e scritti coi piedi, e basta. Anche degli ex militanti di Autonomia Operaia, oggi, nessuno sa un nome, un soprannome, nulla».
Poi, nel caso Mancia, c’è la storia dei camici da infermieri…
«L’unico altro caso nella storia del terrorismo italiano in cui si fa un agguato in divisa è il rapimento di Aldo Mor0 il 16 marzo 1978, in cui le Br erano vestite con divise da personale dell’Alitalia. E questo per un motivo molto semplice, come ha detto il Br Valerio Morucci, ossia per riconoscersi e non spararsi tra di loro. Nell’agguato a Mancia hanno usato camici da infermieri per evocare il Collettivo del Policlinico (collettivo di Aut. Op. che faceva capo a via dei Volsci, n.d.r.). Ci fosse stato vicino un ospedale, la ragione dei camici poteva essere quella di mischiarsi a infermieri e portantini che andavano a prendere il caffè. Ma non ci sono ospedali, vicino a dove abitava Mancia».
Cosa c’è di nuovo, nel vostro libro, rispetto a questi fatti?
«Noi lavoriamo sull’”entità”. Per capire chi poteva essere, analizzando anche altri delitti e fatti strani che avvengono in quei primi mesi dell’80».
Tipo?
«Il 10 marzo, due giorni prima dell’agguato a Mancia, i Compagni organizzati per il comunismo uccidono per errore a Roma il cuoco Luigi Allegretti con un colpo di grazia alla nuca (come avverrà per Mancia), scambiandolo per Gianfranco Rosci, dirigente del Msi e segretario della sezione di via Signorelli, al Flaminio. Il 7 marzo una bomba era esplosa a via del Boschetto, nella tipografia Alternativa grafica dove si stampava “il Secolo d’Italia”: sette operai feriti per un caso che resta misteriosissimo. Così pure la bomba micidiale scoperta e disinnescata il 9 marzo nei locali di via Sommacampagna che ospitano il Fronte della Gioventù. Poteva essere una strage. Ora, per entrare e mettere una bomba in un posto pieno di militanti come Sommacampagna ci voleva qualcuno di conosciuto in quell’ambiente. O è stato qualcuno di loro – ma io non credo che si mettessero le bombe da soli. O era qualcuno di qualche ufficio politico che frequentava la sezione, qualche ramo strano dei servizi segreti».
Fate nomi nuovi, nel libro?
«Per quello che possiamo: questi personaggi dei servizi sono ancora tutti vivi».
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano si è impegnato con i parenti delle vittime del terrorismo di quegli anni a fare luce su tutti quei morti senza verità. Si è mosso qualcosa?
«La Procura dice che i fascicoli sono tutti aperti, ma le indagini sono ferme. La signora Verbano non è ancora stata sentita e anche la sorella di Angelo Mancia non è mai stata chiamata da nessuno».
Torniamo a Mancia. Quali altre ipotesi fate sulla sua morte, se non fu causata dai “rossi”?
«Angelo Mancia era molto ligio al partito, l’Msi, e odiava gli estremisti di Terza Posizione (che, come ha raccontato uno dei fondatori del gruppo Marcello De Angelis, oggi deputato Pdl, a Roma erano circa 300, un numero enorme per un gruppo di destra, n.d.r.). Stava dunque indagando e frugando in quegli ambienti, magari aveva minacciato qualcuno….La cosa che stupisce è che la magistratura, su questo caso, non ha fatto niente. Ho visto il fascicolo Mancia: l’autopsia, 4 foto e basta. La prassi. Del suo ambiente non hanno sentito nessuno. Un delitto preso e buttato via».
E perchè, secondo lei?
«Forse anche gli inquirenti avevano avvertito di essere finiti su un terreno bollente e minato, e che sarebbe stato meglio soprassedere».
Maria Simonetti
E' una storia nuova: ma delle anomalie del caso Mancia, o meglio della natura anomala dei Compagni organizzati in volante rossa, Provvisionato se ne era già occupato nel primo libro scritto con Baldoni nel 1989 e ripubblicato con cadenza decennale, riccamente aggiornato, prima da Vallecchi e poi da Sperling & Kupfer. Ma all'epoca la sua attenzione mi sembrava piuttosto orientata a una "pista interna" e in questa direzione io avevo approfondito la questione nella prima edizione di Fascisteria (1-continua)
Qual é l’ipotesi sostenuta nel vostro libro?
«Che questi due delitti non siano avvenuti, come si è voluto e si vuole far credere, per rappresaglia, cioè i “neri” uccidono Verbano e per vendicarlo i “rossi”ammazzano Mancia. L’impressione è che in quegli anni si sia inserito nel movimento giovanile qualcosa – la famosa “entità”- proprio per aumentare la tensione e fomentare la tesi degli opposti estremismi».
Su cosa vi basate per dimostrarlo?
«Nei due delitti ci sono molte cose che non tornano, soprattutto per Mancia ma anche per Verbano. Cominciamo da lui. Ho parlato con tutti gli ex milianti dei Nar (il gruppo armato di estremisti di destra capitanato da Giusva Fioravanti e Francesca Mambro, n.d.r.), che ormai sono tutti a piede libero dopo anni di galera: negano di essere stati loro. Di tutti i pentiti dei Nar, che sono stati moltissimi, nessuno ha mai parlato del delitto Verbano. Mi chiedo, perchè nascondersi ancora, a questo punto? C’é qualcosa che non quadra, soprattutto nella dinamica dell’aggressione».
Carla Verbano, mamma 86enne di Valerio, nel libro “Sia folgorante la fine” (2010 Rizzoli) scritto con Alessandro Capponi, racconta che quel giorno bussarono alla porta di casa sedicenti “amici di Valerio”: lei aprì e insieme al marito venne legata e imbavagliata in camera da letto. I tre aspettano per più di un’ora in casa rovistando e cercando e poi, quando il ragazzo arriva, gli sparano a morte.
«Ma cosa, cercavano? Il famoso dossier che Valerio compilava, schedando e fotografando estremisti di destra, era una cosa giovanile, un po’da dilettanti. Non é che contenesse chissà cosa. Invece, aspettare due ore una vittima a casa sua è roba da serivizi segreti, non da militanti. Sarebbe stato più facile aspettarlo sotto casa per sparargli: dentro, in due ore poteva succedere qualsiasi cosa, poteva arrivare qualcuno. Stessa cosa per Mancia: perchè due uomini aspettano tutta la notte, dormendo in un pulmino sotto casa sua, per sparare ad Angelo che esce tutte le mattine regolarmente alle 8.30 per andare al lavoro? Il caso Mancia è ancora più complicato, poi, per quella rivendicazione della Volante Rossa che non sta in piedi».
Eppure Carla Verbano è sicura che ad uccidere Mancia siano stati quelli di sinistra, che «all’epoca lo rivendicarono sui giornali».
«Ma la rivendicazione dei compagni organizzati nella Volante Rossa non parla di ritorsione per Verbano bensì per Roberto Scialabba, elettricista 24enne non impegnato politicamente ammazzato ben due anni prima. Perchè i rossi avrebbero ucciso Mancia per vendicare Scialabba senza dire una parola su Verbano, eliminato solo due settimane prima? La Volante Rossa, poi, non esiste. Qualsiasi gruppo lascia una traccia, un militante, un pentito. Qui, tabula rasa: hanno firmato tre volantini contradditori e scritti coi piedi, e basta. Anche degli ex militanti di Autonomia Operaia, oggi, nessuno sa un nome, un soprannome, nulla».
Poi, nel caso Mancia, c’è la storia dei camici da infermieri…
«L’unico altro caso nella storia del terrorismo italiano in cui si fa un agguato in divisa è il rapimento di Aldo Mor0 il 16 marzo 1978, in cui le Br erano vestite con divise da personale dell’Alitalia. E questo per un motivo molto semplice, come ha detto il Br Valerio Morucci, ossia per riconoscersi e non spararsi tra di loro. Nell’agguato a Mancia hanno usato camici da infermieri per evocare il Collettivo del Policlinico (collettivo di Aut. Op. che faceva capo a via dei Volsci, n.d.r.). Ci fosse stato vicino un ospedale, la ragione dei camici poteva essere quella di mischiarsi a infermieri e portantini che andavano a prendere il caffè. Ma non ci sono ospedali, vicino a dove abitava Mancia».
Cosa c’è di nuovo, nel vostro libro, rispetto a questi fatti?
«Noi lavoriamo sull’”entità”. Per capire chi poteva essere, analizzando anche altri delitti e fatti strani che avvengono in quei primi mesi dell’80».
Tipo?
«Il 10 marzo, due giorni prima dell’agguato a Mancia, i Compagni organizzati per il comunismo uccidono per errore a Roma il cuoco Luigi Allegretti con un colpo di grazia alla nuca (come avverrà per Mancia), scambiandolo per Gianfranco Rosci, dirigente del Msi e segretario della sezione di via Signorelli, al Flaminio. Il 7 marzo una bomba era esplosa a via del Boschetto, nella tipografia Alternativa grafica dove si stampava “il Secolo d’Italia”: sette operai feriti per un caso che resta misteriosissimo. Così pure la bomba micidiale scoperta e disinnescata il 9 marzo nei locali di via Sommacampagna che ospitano il Fronte della Gioventù. Poteva essere una strage. Ora, per entrare e mettere una bomba in un posto pieno di militanti come Sommacampagna ci voleva qualcuno di conosciuto in quell’ambiente. O è stato qualcuno di loro – ma io non credo che si mettessero le bombe da soli. O era qualcuno di qualche ufficio politico che frequentava la sezione, qualche ramo strano dei servizi segreti».
Fate nomi nuovi, nel libro?
«Per quello che possiamo: questi personaggi dei servizi sono ancora tutti vivi».
Il ministro della Giustizia Angelino Alfano si è impegnato con i parenti delle vittime del terrorismo di quegli anni a fare luce su tutti quei morti senza verità. Si è mosso qualcosa?
«La Procura dice che i fascicoli sono tutti aperti, ma le indagini sono ferme. La signora Verbano non è ancora stata sentita e anche la sorella di Angelo Mancia non è mai stata chiamata da nessuno».
Torniamo a Mancia. Quali altre ipotesi fate sulla sua morte, se non fu causata dai “rossi”?
«Angelo Mancia era molto ligio al partito, l’Msi, e odiava gli estremisti di Terza Posizione (che, come ha raccontato uno dei fondatori del gruppo Marcello De Angelis, oggi deputato Pdl, a Roma erano circa 300, un numero enorme per un gruppo di destra, n.d.r.). Stava dunque indagando e frugando in quegli ambienti, magari aveva minacciato qualcuno….La cosa che stupisce è che la magistratura, su questo caso, non ha fatto niente. Ho visto il fascicolo Mancia: l’autopsia, 4 foto e basta. La prassi. Del suo ambiente non hanno sentito nessuno. Un delitto preso e buttato via».
E perchè, secondo lei?
«Forse anche gli inquirenti avevano avvertito di essere finiti su un terreno bollente e minato, e che sarebbe stato meglio soprassedere».
Maria Simonetti
E' una storia nuova: ma delle anomalie del caso Mancia, o meglio della natura anomala dei Compagni organizzati in volante rossa, Provvisionato se ne era già occupato nel primo libro scritto con Baldoni nel 1989 e ripubblicato con cadenza decennale, riccamente aggiornato, prima da Vallecchi e poi da Sperling & Kupfer. Ma all'epoca la sua attenzione mi sembrava piuttosto orientata a una "pista interna" e in questa direzione io avevo approfondito la questione nella prima edizione di Fascisteria (1-continua)
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