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La Marca della sovversione venetista


Sebastiano Canetta, Ernesto Milanesi
Legaland
Miti e realtà del Nord Est

2010 pp.176 18,00 €

Il celebrato modello veneto è andato in tilt, nel gioco sfacciato dell’economia e della politica. Fra il tramonto del “sistema Galan” e il deragliamento della “locomotiva” nord-estina non affiora soltanto l’ultima generazione leghista, svezzata da vent’anni di “serenissima” ideologia. Il Veneto continua a sfornare contraddizioni stridenti, storie e personaggi emblematici, perfino movimenti sociali che contraddicono ogni “modello”. Questo libro costituisce un viaggio-inchiesta attraverso i tanti volti del Nord Est: dalle schiave dell’immondizia nei capannoni postindustrali al business che ruota intorno ai finanziamenti europei, agli eco-mostri messi in cantiere dagli interessi immobiliari. Come evidenzia lo scrittore Massimo Carlotto, “il Veneto di domani è un affare ultramiliardario che ora passa nelle mani del governatore leghista Luca Zaia e del suo partito”.



Così il sito di Manifestolibri presenta la sua ultima creatura. Me lo segnala uno dei miei  corrispondenti, dallo sprofondo della Marca trevigiana. A me sembra di particolare pertinenza con i temi di questo blog. Soprattutto il capitolo che ricostruisce le vicende dell'ultima "banda armata" indipendentista. Perché dietro le sparate cicliche di Bossi sulle centinaia di migliaia di armigeni decisi a tutto per la libertà della patria padana, c'è il fermento reale di piccoli gruppi radicali che, sulla falsariga dei brigatisti di un quarto di secolo fa, vivono come pesci nel brodo primordiale dei territori controllati dalla Lega. E' disponibile on line il capitolo che ricostruisce questa vicenda. Ecco la prima parte. Qui potete leggere la seconda.

La polisia veneta di Sebastiano Canetta ed Ernesto Milanesi
La Marca è tradizionalmente una roccaforte di movimenti sotterranei, aggregazioni «strane», punte estreme di autonomismo. Un universo che è tornato a galla grazie all’inchiesta della Procura della Repubblica di Treviso, condotta soprattutto a suon di intercettazioni telefoniche e riscontri «sul campo». Riguarda l’idea di Polisia formato secessionista: agenti municipali, ma fedeli al Veneto che nulla vuole spartire con la Repubblica italiana.          
«Aruòlate, la Patria te ciàma». Un po’ Gladio in formato autonomista, un po’ eredi dei «serenissimi», un po’ partigiani in versione di Marca. Difficile liquidarli come un’armata Brancaleone, buffoni da osteria, innocue macchiette «chiacchiera e distintivo», dopo che sono finiti nella rete della magistratura. Se non ci fossero di mezzo nove pistole semiautomatiche, due fucili a pompa e 727 proiettili sequestrati, la declinazione veneta del celebre I want you farebbe sorridere. E invece, in questa vicenda, di divertente, non c’è proprio niente.          
«Abbiamo fermato la Polisia Veneta prima che diventasse davvero pericolosa» conferma il questore Carmine Damiano. Nel fascicolo sul tavolo di Antonio Fojadelli, procuratore capo, la prima lista degli indagati è già arrivata a quota tredici: tutti promotori, aderenti o semplici simpatizzanti del braccio armato del sedicente Stato delle Venethie. Ora rischiano l’imputazione per banda armata.
In mezzo ad anonimi padri di famiglia spuntano tre nomi eccellenti: Paolo Gallina, comandante della Polizia locale del Comune di Cornuda; Daniele Quaglia, ex presidente della Life (Liberi imprenditori federalisti europei) di Treviso e Sergio Bortotto, addetto alla security del supermercato Panorama di Villorba, espulso dalla polizia (quella vera) una decina di anni fa. Erano pronti a uccidere e morire pur di liberare le Venezie dall’oppressione dello Stato invasore. Chiedevano la revisione del Plebiscito del 1866. Alimentavano il mito sempreverde della guerra di liberazione contro lo straniero, in questo caso il resto degli italiani.          
Alla base della lucida follia dei polisioti, il rifiuto totale delle istituzioni repubblicane di Roma. Governo, Parlamento, magistratura.  
Nel mirino, perfino i vigili urbani. Il punto di forza degli sbirri di Marca era, banalmente, la promessa di stipendi d’oro: ogni aderente alla milizia avrebbe percepito 3 mila euro al mese, alla faccia della crisi.
Una leva efficace che aveva già convinto un’ottantina di «partigiani », pronti a partire per il «fronte» del Nord Est. Un bel problema anche per Leonardo Muraro, presidente leghista della Provincia di Treviso. Ha concesso il patrocinio istituzionale autorizzando l’utilizzo del logo istituzionale per Marcaperta, il bimestrale diretto da Giuliana Merotto (madre di Gallina) che ha pubblicato i bandi di arruolamento della Polisia Veneta. 
La vicenda emerge quasi per caso, dopo il tentativo dei militanti della Life di bloccare con la forza un pignoramento disposto dai finanzieri nella sede di Conegliano. Una resistenza inaspettata quanto apparentemente ingiustificata innesca l’apertura di un’indagine all’inizio dell’estate. Quattro mesi di controlli incrociati, intercettazioni, appostamenti e pedinamenti serrati. Poi la mattina del 5 novembre 2009, il blitz di 60 agenti della Digos di Treviso nella sede «sindacale» e l’irruzione nelle abitazioni degli indagati. Alla Life, nel cumulo di carte di ordinaria amministrazione i poliziotti trovano un plico con proclami che inneggiano all’autodeterminazione del popolo veneto. Nel mucchio anche le schede personali degli affiliati al gruppo. A Cornuda, scatta la perquisizione della casa del capo della Municipale: e qui salta fuori un vero e proprio arsenale: 5 pistole Glock, 1 fucile Bull calibro 9×21, una Beretta modello 71 e due fucili a pompa calibro 12. In tutto vengono sequestrati 922 proiettili di cui 722 detenuti illegalmente. Oltre a uno stock di mimetiche blu griffate con il leone alato di San Marco.
Nell’indagine viene a galla anche lo sponsor del gruppo. L’unico che avrebbe accettato di finanziare il primo nucleo della Resistenza anti-italiana. Si tratta di un imprenditore manufatturiero residente a Conegliano: a quanto pare, avrebbe staccato un primo assegno da 2 mila euro. Al vaglio degli inquirenti anche l’ipotesi di altri stanziamenti da parte della Life: soldi pronto cassa, somme utilizzate soprattutto per il corredo di baschi, mostrine e divise militari. Di certo risulta che tre computer sequestrati erano stati regalati ai polisioti proprio dagli esponenti dell’associazione degli imprenditori federalisti.
Nei fascicoli sulla scrivania di Fojadelli saltano fuori gli «atti di guerra» dei polisiotti veneti. Piani operativi, campi di addestramento per «truppe speciali», poligoni di tiro e campagne di arruolamento per l’esercito di patrioti deciso a cambiare bandiera. Emergono le prove giudiziarie del delirio autonomista di sedicenti ministri degli Interni, capi di governo, giudici, ufficiali e reclute disposti a eliminare fisicamente gli «oppressori», cioè gli italiani.          
Viene a galla un programma eversivo perverso, a tratti surreale, condito con proclami, editti e documenti che incitano alla rivoluzione nel nome di San Marco. In testa il chiodo fisso dei soldi che non bastano mai: schei per stipendi e uniformi della Polisia, ma anche per pagare le odiose gabelle pretese del «governo di Roma».     (1- continua)

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