Dopo Brescia/2 Boatti: Il costo della verità, il prezzo della menzogna
di Giorgio Boatti
dal Manifesto del 18 novembre 2010
“La verità germoglierà sulla terra/ e la giustizia si affaccerà dal cielo…”: lo afferma un Salmo (84) e dunque sarà sicuramente così. Perché dubitarne? Però non in questo spicchio di terra che si chiama Italia. Non in questo tempo che ci è toccato attraversare e che a tanti decenni dalle stragi contro innocenti vede i colpevoli impuniti, e la giustizia, nonostante la generosa applicazione di alcuni magistrati, arrivare sconfitta al traguardo. Costretta come è successo a Brescia, per la strage di Piazza della Loggia del 1974. alla formula assolutoria dubitativa. Dopo 17 anni di indagini, quasi un milione di pagine di verbali, millecinquento testi sfilati a portare i loro frammenti di verità scomode o di versioni di comodo, di amnesie o di improvvisi balenare di ricordi. Indiscutibile il contesto nero della pianificazione della strage: scagliata contro un obiettivo, quale una manifestazione sindacale nella Brescia allora capitale della mobilitazione operaia, che non poteva essere più emblematico. E – tutti questi sono fatti - con un bombarolo neofascista troppo sicuro di sé saltato in aria pochi giorni prima dell’azione, un altro personaggio dello stesso entourage che sapeva troppo fatto fuori in un carcere speciale da killer neri. Per non parlare delle riunioni del commando stragista monitorate pressochè in diretta da talpe dei Servizi. Ma questi – anzi una frazione di questi – traggono dai loro archivi traccia di questo materiale informativo con uno stacco temporale di lustri, capace di azzoppare qualsiasi approfondimento investigativo.
Come avrebbe potuto non essere balbettante il corso della giustizia dopo un iter defatigante, che pare essere stata copia di quanto accaduto per Piazza Fontana, in cui nel corso dei decenni – accanto all’azione caparbia di pochi giudici – si è visto di tutto: sovrapporsi di inchieste, zig zag di processi, smaterializzarsi di prove e defilarsi di collaboratori di giustizia? Per non parlare delle pesanti gomitate di un impegnato magistrato veneziano, poi eletto in Parlamento dalla sinistra, contro il procedere del suo collega milanese Salvini?
Seguire la trama del farsi e disfarsi della giustizia attorno alle stragi è smarrirsi in un gioco di specchi nel quale in Commissione Stragi i politici giocano a fare gli investigatori, con risultati scoranti a leggere le smozzicate e contrapposte relazioni finali che hanno messo fine al loro annoso – e costosissimo per il contribuente – lavoro. Il giudice nel frattempo – sull’onda di una micidiale delega che la politica ha trovato comodo far finta di affidargli su alcuni fronti sensibili - si fa storico, giornalista, esperto di intelligence, eroe civile e precettore morale. Alla fine, sommerso dalle troppe angolazioni del suo procedere, è il primo a perdersi. Crede di essere capace di definire l’insieme ma è sconfitto nel suo specifico. Quello che connota la verità giudiziaria: l’afferrare la concreta e personale responsabilità dei colpevoli di un reato a lui sottoposto.
Il demagogico sbocciare da parte di una classe politica incolta e distratta di giorni della memoria à la carte, di poetiche del ricordo pubblico a uso privato, è il prezzo di una menzogna, di un quieto vivere della sistemazione dei conti col passato, in cui tutti abbiamo avuto responsabilità.
Il costo della verità non l’abbiamo voluto finora pagare e forse, in ricordo delle vittime, dei loro parenti e delle ferite inferte a questo Paese, sarebbe tempo di cominciare a porsi il problema. A cominciare dagli storici che lavorando sulle stragi, sulla violenza, sul terrorismo, sugli apparati di sicurezza, hanno compreso che occorre passare dall’ordinamento delle cronologie dei fatti alle modalità del loro accadere dentro la rete del know-how organizzativo, cospirativo, ideologico. A quando in Italia invece di tanti blateramenti una legge FOTOCOPIA del Freedom Information Act statunitense in vigore là dagli anni Settanta? Solo attrezzandosi con un lavoro storico in rete e di gruppo – applicato sui sistemi dei rapporti di forza e di potere che hanno sorretto in concreto i bombaroli, i killer, i logisti, i pianificatori, i garanti della impunità attraverso distruzione di prove e applicato dirottamento di testi e di memorie – si può giungere a qualche approdo. Una strage ha un prezzo altissimo di sangue ma, in termini di soldi, costa poco. Almeno rispetto agli obiettivi di destabilizzazione che consente di conseguire. Però l’impunità agli stragisti è un investimento ingentissimo e duraturo nel tempo che solo un reseau formidabile si può permettere di sorreggere. E’ da qui – dal rovescio del puzzle affrontato dai giudici – che si deve ricominciare. Solo così la verità – non la generosità della memoria o la soggettività del ricordo – difenderà la democrazia. Diventerà duratura educazione civile dei cittadini. (gboatti@venus.it)
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RispondiEliminaMa voi di sinistra che verità volete?
RispondiEliminaSe, mettiamo per assurdo, effettivamente Zorzi e Maggi fossero colpevoli, sarebbero stati loro gli ideatori,gli artefici materiali, i mandanti di tutto? Non ci sarebbe nessuno sopra le loro teste?
Magari, per voi, sopra di loro ci sarebbe stato Giorgio Almirante?
O vi basta che sulla lapide della strage di Bologna ci sia scritto fascista anche se sapete bene che così non è!
Verrebbe da lasciar perdere tutto, da dire alla Totò "ma mi faccia il piacere" ma ci sono dei morti che chiedono giustizia e degli innocenti calunniati.
Anche noi vogliamo giustizia per gli uni e per gli altri!
No, Stefano, mi pare evidente che, tranne alcuni trinariciuti, in questo momento l'attenzione sia spostato dal livello della manovalanza a quello degli apparati statuali e internazionali che dirigevano, orientavano, utilizzavano e coprivano i quadri operativi
RispondiEliminaUna breve riflessione merita anche l'affermazione di AC, (va bene così UMT?)quando scrive che la verità di Stato ha imposto che gli anarchici fossero designati come vittime sacrificali di piazza Fontana, prima dei neofascisti.E' il solito riflesso condizionato di pavloviana memoria. In realtà l'inchiesta degli inquirenti sull'anarchico Pietro Valpreda,aveva raccolto elementi schiaccianti sulla sua colpevolezza: il riconoscimento del tassinaro iscritto al PCI Rolandi,le zie bugiarde che avevano fornito un falso alibi al nipote che secondo loro era a letto febbricitante, mentre in realtà era a Roma, visto da una decina di testimoni.Peraltro le congiunte di Valpreda erano già state colte con le mani nel sacco, nel fornire falsi alibi per coprire le responsabilità del nipote, in occasione di una rapina a mano armata,da lui perpetrata.Senza la ciliegina sulla torta,cioè dimenticare l'inchiesta su Piazza Fontana condotta dalle Brigate Rosse,che in sostanza confermarono l'inchiesta ufficiale condotta dagli inquirenti Occorsio, Calabresi ecc ecc.,le quali giunsero alla conclusione che effettivamente il bombardiere della BNA era stato l'anarchico, la testimonianza di Rolandi credibilissima, e pure l'altra icona sacra anarchica, ne era rimasta coinvolta. Quando si parla di avvelenamento e di intossicazione...ecco i risultati! Temistocle Vaccarella.
RispondiEliminaTV, non fare lo scemo per non andare in guerra: ti ho chiesto di non fare critiche personali ma certo che se confuti una posizione puoi fare riferimento a chi l'ha espressa
RispondiEliminaps: il riconoscimento di Valpreda era fortemente condizionato ...
UMT sono le solite leggende metropolitane sui "condizionamenti" del riconoscimento.La storia è nata dal fatto, che il questore di Milano dell'epoca era Marcello Guida, che esordì come funzionario di P.S. al confino di polizia per gli antifascisti di Ventotente.Vale a dire secondo i fontanologhi e pistaroli neri, che il poliziotto era bugiardo fin dall'esordio della carriera, da condannare per aver fatto il proprio dovere, durante il bieco ventennio, e soprattutto colpevole di aver scritto in una nota biografica del confinato Sandro Pertini "sovversivo esaltato, capace di compiere atti terroristici".Inaudito condizionamento;ti sembra una cosa seria?In realtà non di leggende metropolitane come questa si trattava, ma di indagini serie con prove certe, condotte da inquirenti di spessore e capacità investigative non comuni. Con la contro inchiesta delle BR sulla strage alla BNA, in pratica i brigatisti dettero ragione a Marcello Guida e a Luigi Calabresi, altro che condizionamenti.Poi con il riconoscimento di Valpreda al teatro romano Ambra Jovinelli il giorno dopo la strage,da parte di una decina di testimoni, come replichi?. Uno di questi era un noto impresario teatrale(nonché marito della ballerina milanese di danza classica (C.F.) il quale credendo di scagionare l'anarchico, lo inguaiò, testimoniando che era a Roma e quindi non poteva essere stato lui a compiere la strage.A Catanzaro le ziette care e spergiure furono condannate per falsa testimonianza, mentre l'anarchico fu assolto per insufficienza di prove, ma non per essere estraneo ai fatti e tirato fuori di galera con una legge votata in Parlamento a maggioranza.Mentre per la sentenza assolutoria di Brescia, tocca sentire le solite litanie dei vari "pistaroli neri", con il loro stracciarsi le vesti, sui poveri morti che sono stati uccisi due volte...ecc.ecc. Certo poi è strano il fatto che tale psicosi collettiva, che tale riflesso condizionato voluto e realizzato da una abile strategia occulta, mieta vittime anche in altri settori politici, cui l'esperienza dovrebbe aver insegnato a loro, come si creano dal nulla, stati di psicosi collettiva e leggende metropolitane.T.V.
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