Una polemica sulla guerra e i doveri degli alti ufficiali -1
Nei giorni scorsi Marco Petrelli, autonomo nazionalista e "corrispondente" del blog da Terni, ha avuto modo di incrociare metaforicamente, nell'agorà virtuale del web, i ferri della polemica sulla filosofia della guerra con Gabriele Adinolfi. Ha quindi deciso di trasferire in questo spazio il confronto, sollevando un dubbio in quietante, immediatamente fugato da Adinolfi
TERZA POSIZIONE E IL DUBBIO CHE MI ATTANAGLIA di Marco Petrelli
In questi giorni si è celebrato il trentesimo anniversario della morte di Nazareno “Nanni” De Angelis, il dirigente di Terza Posizione brutalmente assassinato dalla forze dell’ordine il 5 ottobre del 1980.
La rete è stata interessata da manifesti condivisi sui social network e da articoli che i camerati di allora hanno voluto dedicare ad eterna memoria di Piccolo Attila.
Il blog sul quale ora leggete le mie righe spesso riporta post di uno dei leader della destra romana, nonché fondatore di Terza Posizione, Gabriele Adinolfi.
E’ successo che, soprattutto su Facebook, il sottoscritto ed Adinolfi si siano confrontati su argomenti che non li hanno visti sempre d’accordo. Per esempio la divergenza di vedute sulla metafisica della guerra: Gabriele (che perdonerà, spero, questo mio tono confidenziale) con una visione a tratti romantica a tratti marinettiana dello scontro, io con una più da ‘compagno’ (quale, vi tranquillizzo, non sono!), convinto che dopo un nastro di MG42 sparato su di un plotone di metafisico e romantico resti ben poco.
C’è una cosa, però, che da un po’ di tempo mi logora e mi pesa dentro. Gabriele, come ho avuto modo di dirgli, è un simbolo per il nostro ambiente e credo/spero si renda sempre conto di questo.
Tuttavia il nodo alla gola si stringe e vorrei che, almeno lui, mi liberasse dal dubbio che mi attanaglia.
Ho il privilegio di avere due fraterni amici, due persone per me importanti,( che da Tp vengono), alle quali devo parte della mia formazione politica ma soprattutto umana, ed è anche per loro che oggi spero di avere una risposta chiara e sincera.
Se non erro Tp era costituita da giovanissimi militanti, quasi tutti sotto i venti anni. Dopo l’attentato alla stazione di Bologna “al segnale stabilito/si riavvia la grande caccia/i fucili che ora puntano alla faccia” i tippini finiscono nelle mani di agenti non sempre memori di rappresentare la legge e la legalità. Gabriele lei era il capo allora e scelse di andare all’estero… perché? E, in primis , ha mai pensato a quante pene abbiano passato quei giovanissimi tippini rimasti in Italia senza una guida? Non mi permetto di fargliene una colpa e non voglio pensi questo. Le chiedo solo se, a distanza di tanti anni e di tante cose che ci ha testimoniato e riportato, sia stato in fin dei conti giusto privare di un riferimento persone che, in “tenera” età, si sono sbandate e sono finite nella mani di sgherri senza scrupoli. I due amici di cui sopra mi hanno tramandato una certa visione del capo: sempre in prima fila, disposto a pagare anche per e più dei suoi uomini, poiché di essi è guida e responsabile. La fiducia non la ottiene con il terrore o le urla, ma dando un esempio di costante dedizione al lavoro, preoccupandosi del gruppo, garantendo (nei limiti del possibile) il suo appoggio e il suo interesse ai problemi dei militanti. Prima della politica esiste l’uomo e la comunità (o il cuib, se preferite) è fatta, appunto, di uomini.
Ripenso, or ora, ad una vecchia americanata , 300: re Leonida risponde ad un disumano Serse con parole colme di orgoglio e convinzione: “sarei pronto a dare la vita per ognuno dei miei soldati”. Certo 300 è un film tratto da un fumetto, con la metafisica ha ben poco cui spartire. Ma i trecento spartani, nella realtà, sono morti con il loro comandante in testa. Era l’agosto del 480 a.C. e loro non era soli. Nell’agosto del 1980 a fare coraggio a quei guerrieri nemmeno ventenni non c’era nessuno. Metafisica a parte.
PS A voler essere precisi questo blog ospita spesso post di Marco Petrelli e interviste a Gabriele Adinolfi (umt).
TERZA POSIZIONE E IL DUBBIO CHE MI ATTANAGLIA di Marco Petrelli
In questi giorni si è celebrato il trentesimo anniversario della morte di Nazareno “Nanni” De Angelis, il dirigente di Terza Posizione brutalmente assassinato dalla forze dell’ordine il 5 ottobre del 1980.
La rete è stata interessata da manifesti condivisi sui social network e da articoli che i camerati di allora hanno voluto dedicare ad eterna memoria di Piccolo Attila.
Il blog sul quale ora leggete le mie righe spesso riporta post di uno dei leader della destra romana, nonché fondatore di Terza Posizione, Gabriele Adinolfi.
E’ successo che, soprattutto su Facebook, il sottoscritto ed Adinolfi si siano confrontati su argomenti che non li hanno visti sempre d’accordo. Per esempio la divergenza di vedute sulla metafisica della guerra: Gabriele (che perdonerà, spero, questo mio tono confidenziale) con una visione a tratti romantica a tratti marinettiana dello scontro, io con una più da ‘compagno’ (quale, vi tranquillizzo, non sono!), convinto che dopo un nastro di MG42 sparato su di un plotone di metafisico e romantico resti ben poco.
C’è una cosa, però, che da un po’ di tempo mi logora e mi pesa dentro. Gabriele, come ho avuto modo di dirgli, è un simbolo per il nostro ambiente e credo/spero si renda sempre conto di questo.
Tuttavia il nodo alla gola si stringe e vorrei che, almeno lui, mi liberasse dal dubbio che mi attanaglia.
Ho il privilegio di avere due fraterni amici, due persone per me importanti,( che da Tp vengono), alle quali devo parte della mia formazione politica ma soprattutto umana, ed è anche per loro che oggi spero di avere una risposta chiara e sincera.
Se non erro Tp era costituita da giovanissimi militanti, quasi tutti sotto i venti anni. Dopo l’attentato alla stazione di Bologna “al segnale stabilito/si riavvia la grande caccia/i fucili che ora puntano alla faccia” i tippini finiscono nelle mani di agenti non sempre memori di rappresentare la legge e la legalità. Gabriele lei era il capo allora e scelse di andare all’estero… perché? E, in primis , ha mai pensato a quante pene abbiano passato quei giovanissimi tippini rimasti in Italia senza una guida? Non mi permetto di fargliene una colpa e non voglio pensi questo. Le chiedo solo se, a distanza di tanti anni e di tante cose che ci ha testimoniato e riportato, sia stato in fin dei conti giusto privare di un riferimento persone che, in “tenera” età, si sono sbandate e sono finite nella mani di sgherri senza scrupoli. I due amici di cui sopra mi hanno tramandato una certa visione del capo: sempre in prima fila, disposto a pagare anche per e più dei suoi uomini, poiché di essi è guida e responsabile. La fiducia non la ottiene con il terrore o le urla, ma dando un esempio di costante dedizione al lavoro, preoccupandosi del gruppo, garantendo (nei limiti del possibile) il suo appoggio e il suo interesse ai problemi dei militanti. Prima della politica esiste l’uomo e la comunità (o il cuib, se preferite) è fatta, appunto, di uomini.
Ripenso, or ora, ad una vecchia americanata , 300: re Leonida risponde ad un disumano Serse con parole colme di orgoglio e convinzione: “sarei pronto a dare la vita per ognuno dei miei soldati”. Certo 300 è un film tratto da un fumetto, con la metafisica ha ben poco cui spartire. Ma i trecento spartani, nella realtà, sono morti con il loro comandante in testa. Era l’agosto del 480 a.C. e loro non era soli. Nell’agosto del 1980 a fare coraggio a quei guerrieri nemmeno ventenni non c’era nessuno. Metafisica a parte.
PS A voler essere precisi questo blog ospita spesso post di Marco Petrelli e interviste a Gabriele Adinolfi (umt).
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