Omicidio Calore/8 - Cla, un'organizzazione liquida - 2
Prosegue, nel quadro dello speciale dedicato all'omicidio di Sergio Calore, la pubblicazione della storia di "Costruiamo l'azione", estratta dal mio volume "Guerrieri" (Immaginapoli, 2005).
Il rilancio del vecchio progetto frediano del fronte unico rivoluzionario – nei mesi del sequestro Moro e del massimo attacco del governo invisibile per impedire l’entrata nella stanza dei bottoni del Pci – acquista una inquietante valenza, se si considera che mezzo gruppo dirigente ha stretti contatti con la P2 (Semerari, De Felice, Aleandri), l’altra metà con i servizi segreti e i carabinieri (Fachini e Calore) (1): Il progetto dell’area dell’autonomia operaia è ricomporre nella pratica di lotta la divisione tra coscienza rivendicativa (sindacato) e coscienza politica (partito) (…) Ipotesi degna della massima attenzione ma destinata a sicuro insuccesso (…) si deve d’altra parte riconoscere negli autonomi una potenziale forza antisistema. (…) E’ opportuno seguire con attenzione il fenomeno, evitare lo scontro diretto (anche se è necessario reagire pesantemente alle provocazioni, sia per motivi di prestigio sia perché alla lunga favorisce il dialogo), partecipare con sigle differenziate a iniziative comuni. [Fogli d’Ordine, marzo 1978]
Gli appelli unitari non hanno interruzione. Il giornale rilancia le indicazioni dei Fogli: Diciamo agli autonomi: sveglia ragazzi … i nemici sono comuni e stanno tutti ammucchiati insieme… Lo scontro con gli altri rivoluzionari deve essere ridotto al minimo e se possibile evitato… Non lasciarti coinvolgere nel gioco mortale degli opposti estremismi. [Cla n.1 aprile 1978]. Questo gruppo è il primo della sinistra che abbia cominciato a muoversi in un’ottica di tipo rivoluzionario. Bisogna però dire che essi sono legati ad un’ideologia (il marxismo) superata … nessuno dei nostri dovrà mai attaccare o aggredire gli autonomi, né però dovrà essere loro consentito il contrario. A lungo termine, bisogna realizzare una profonda revisione di tutte le posizioni ideologizzate, fino a ricongiungerci con una visione della vita in un solo popolo che lotta. [Cla n.2, maggio-giugno 1978]
Un altro cavallo di battaglia è il rifiuto della logica gruppettara: “Questo giornale non è espressione di un gruppo, né vuole diventarlo in un futuro più o meno prossimo. Siamo contro tutti i gruppi perché rifiutiamo la logica dei gruppi. Riteniamo residui borghesi ogni conato di egemonismo, ogni settarismo, ogni dogmatismo, ogni sofistica. Crediamo che l’azione rivoluzionaria si debba necessariamente costruire con la lotta delle masse, masse che solo con la lotta saranno capaci di diventare popolo… Contro l’egemonismo, il settarismo, il dogmatismo, la sofistica, deve affermarsi l’unità dell’area rivoluzionaria. Soltanto l’unità ci farà respingere e smascherare le provocazioni e le diversioni, nell’unità possiamo elaborare la strategia vincente” [Cla n.4, ottobre 1978].
Calore spiegherà ai giudici la scelta di campo, che non si limitava alla sfera politica, ma implicava un più ampio approccio alla devianza sociale e l’uso analitico del marxismo come strumento di critica interna al capitalismo: “Consideravo come possibile referente di ogni nostra azione, di ogni nostro discorso, tutta l’area che opportunamente la scuola sociologica di Francoforte ha definito come area del rifiuto. Questo tipo di impostazione portava a considerare omogenee aree estremamente diversificate nella loro origine. Tra le quali la cosiddetta Autonomia operaia ma anche tutte le aree devianti, da quelle della criminalità a quelle del manicomio, dell’emarginazione sociale nel territorio, i cosiddetti sobborghi, le baraccopoli”.
L'invito a sfuggire alla mentalità cospiratrice è costante. Il potere borghese è definito fascista nella misura in cui rappresenta la continuazione di quanto vi era stato di compromissorio, proborghese e prosionista nel regime mussoliniano. L’altro leit motiv è l’opposizione tra ideologia e azione: “Nella nostra storia il fil rouge passa al di fuori delle ideologie. I nostri movimenti si sono sviluppati secondo la logica opposta a quella teoria-prassi. Le ideologie, le costruzioni schematiche, sono qualcosa di estraneo alla nostra natura. E’ invece l’azione in se stessa che accomuna uomini diversi per estrazione sociale e intessei materiali e culturali”. Eppure, questa distinzione è percepita dall’ambiente come operazione ideologica. Secondo Marcello De Angelis: “Costruiamo l’azione era un’organizzazione costituita su basi rigidamente dottrinarie. Tra le sue fila abbondavano i teorici. Ogni sua azione era preparata a tavolino e accompagnata da un complesso documento ideologico-politico. Tp, come del resto i Nar, guardava con sospetto Cla perché i suoi dirigenti facevano parte di generazioni precedenti con storie diverse e confuse alle spalle”.
La scelta di un’organizzazione fluida, non strutturata, richiama la teoria negriana dell’autonomia diffusa. Un’altra significativa coincidenza con la prassi politica negriana (all’epoca della scissione di Potere operaio) affiora sulla questione militare: i “vecchi” pensano di risolvere il problema senza assumersi rischi inutili, sulla base di un rapporto strumentale con la malavita organizzata. Il professor Semerari porta infatti in dote un eccellente rapporto con quella che diventerà l’organizzazione leader a Roma, la banda della Magliana. Ne parlano due “pentiti”. Per Fulvio Lucioli, componente della “batteria di Ostia”: “Il professor Semerari era lo psichiatra di fiducia della banda . Un giorno venne da noi D’Ortenzi, detto Zanzarone, era il 1978 per dirci che Semerari ci proponeva di collocare delle bombe, e di effettuare alcuni sequestri di persona dandoci un elenco di nomi. Ci prometteva di far uscire le persone eventualmente arrestate per questi fatti, come del resto era già riuscito a fare con D’Ortenzi e con Selis messi fuori grazie a perizie psichiatriche di favore”.
Paolo Aleandri conferma: nel 1978 De Felice e Semerari gli proposero di reperire notizie su persone da sequestrare a scopo di estorsione e loro avrebbero passato le notizie ad ambienti della malavita organizzata.
Ad innervare il progetto politico di Cla è l’idea di “attacco diffuso”, uno sviluppo sofisticato della vecchia idea forza delle prime Brigate rosse, la propaganda armata. Ad attrarre i militanti non sarà la capacità di attribuirsi la singola azione ricavandone una particolare aura ma la forza complessiva del progetto al cui interno possono essere ricondotte e comprese le diverse iniziative specifiche. Così dopo che nel mese di febbraio 1978 – a detta dei pentiti ad opera di un ordinovista poi defunto, Giampiero Montavoci, confidente del Sid – un attentato dinamitardo provoca la morte di un vigilante al Gazzettino di Venezia, subito dopo la fine del sequestro Moro parte una campagna di attentati terroristici dimostrativi (e non rivendicati) contro i simboli del potere a Roma. Il primo attentato è compiuto la notte del 22 maggio, nel cortile antistante al ministero della Giustizia: lesiona le strutture dell'edificio, frantuma i vetri circostanti, ferisce leggermente due carabinieri e una passante. La bomba usata contro l’autoparco comunale di via san Teodoro, la notte del 15 giugno, è potente. Numerose auto e vetrate sono distrutte, la porta di accesso scardinata. Cinque giorni dopo è la volta della direzione regionale della Sip. L'edificio e le vetture circostanti riportano gravi danni. La notte del 20 luglio, l’ultimo ordigno danneggia seriamente palazzo Valentini, sede di prefettura e provincia. Un poliziotto resta ferito. L’operazione è circoscritta a una cerchia ristrettissima di militanti, che ruotano intorno alla vulcanica personalità di Lele Macchi, capobanda autonomo e leader riconosciuto nell’ambiente spontaneista, il primo a scoprire e a diffondere il mito dei Pellerossa come comunità nomade e guerriera: gli ordigni sono confezionati da Marcello Iannilli, che proviene da una breve militanza nell’estrema sinistra. A sostegno della lotta contro i manicomi i due organizzano anche un’incursione a Santa Maria della Pietà, con tanta di apertura dei cancelli e di messa in libertà dei ristretti. La campagna galvanizza i microgruppi di affinità soliti celebrare le più svariate occasioni mettendo botti contro le sedi dei partiti di sinistra. Calore enfatizza il boom successivo di piccole iniziative spontanee: “In un paio di mesi, noi come gruppo realizzammo direttamente una quindicina di attentati al massimo, ma in realtà ne furono compiuti da altri gruppi che si accodarono alla campagna almeno una sessantina. Quindi sostanzialmente verificammo la disponibilità di un certo tipo di area a seguire delle direttive che arrivavano anche in maniera così indiretta”.
Tra i protagonisti della campagna c’è anche la banda di Monteverde, che compirà anche vari attentati contro sedi politiche. Tra il 14 e il 16 giugno Cristiano Fioravanti, Alibrandi e Andrea Pucci colpiscono, tra Laurentino e Acqua acetosa, con ordigni esplosivi o molotov. La rivendicazione, a nome dei Signori della guerra , usa un simbolo grafico simile al nodo di rune adottato da Tp: “Contro l’aumento indiscriminato dei prezzi voluto dal governo Dc-Pci, rivolto a colpire tutte le classi lavoratrici e la nazione, in questi giorni alcune cellule dei Nar hanno colpito a Roma due centrali dell’Acea e la Centrale del Latte. Contro le speculazioni del governo, lotta armata per il fascismo. Boia chi molla”.
Tra fine ottobre e novembre 1978 sono compiuti tre attentati contro sezioni del Psi, di cui uno molto pericoloso. Cristiano racconterà: "Ricordo, in particolare, un attentato ad una sezione socialista, quella di Testaccio che fallì per difetto di esplosivo, ma che avrebbe potuto avere gravi conseguenze; infatti, deponemmo la bomba o meglio deposi la bomba sul davanzale di una finestra della sezione nel cui interno vi erano moltissime persone. La bomba non esplose perché la polvere era umida. Se fosse esplosa avrebbe potuto uccidere o ferire molte persone” . Quanto al “procacciamento di esplosivo posso solo dire che gli attentati fatti dal nostro gruppo (tre al Psi, uno al Pci-zona Alberone) furono fatti con esplosivo procurato nei seguenti modi: con balistite granulare ricavata da proiettili di contraerea pescati in più riprese nell'estate e inverno 1979 a Ponza su un relitto di nave americana. Mio fratello provvedeva a predisporlo ed a preparare l'ordigno che esplodeva con semplice miccia. A pescarlo provvedevamo io, mio fratello, Alibrandi e Tiraboschi. Per altri attentati (Acea, Centrale del latte) usammo il tritolo acquistato da Alibrandi. Per gli attentati a due sezioni di Autonomia Operaia utilizzammo esplosivo procurato presso una cava di Civitavecchia.".
(2-continua)
NOTA
1) Aleandri, nel corso di un confronto giudiziario con Calore, ricostruisce i rapporti con il leader della loggia P2 distinguendo tre fasi: 1) riferisce a Gelli quanto gli comunicava telefonicamente il latitante Filippo De Iorio, consigliere regionale dc ricercato per il golpe Borghese; 2) riporta al Maestro alcuni progetti di De Felice, tentativi di entrare in contatto con ambienti economici ed affaristici e offerte al maestro venerabile di usare l’organizzazione neofascista . In realtà Aleandri si guarderà bene dal farlo perché “la linea politica che in quel periodo (1978) io andavo elaborando con Calore mi rendevano ostile a simili ipotesi”. Non trasmette neanche la richiesta di favorire la permanenza di Graziani in Paraguay poiché Gelli aveva rapporti di amicizia con il presidente Stroessner; 3) presenta a Gelli due cronisti giudiziari intimi di De Felice, Franco Salomone del Tempo e Claudio Lanti del Giornale. Il primo consegnerà ad Aleandri una lista di pm romani, con l'orario dei turni. Il secondo assiste tranquillamente al diverbio in cui De Felice pretende di gestire direttamente i proventi delle rapine. I rapporti diretti tra Fachini e il capitano Labruna, smentiti dai diretti interessati, sono confermati da Vinciguerra e da Giannettini, che racconta di aver costituito il contatto tra i due.
Il rilancio del vecchio progetto frediano del fronte unico rivoluzionario – nei mesi del sequestro Moro e del massimo attacco del governo invisibile per impedire l’entrata nella stanza dei bottoni del Pci – acquista una inquietante valenza, se si considera che mezzo gruppo dirigente ha stretti contatti con la P2 (Semerari, De Felice, Aleandri), l’altra metà con i servizi segreti e i carabinieri (Fachini e Calore) (1): Il progetto dell’area dell’autonomia operaia è ricomporre nella pratica di lotta la divisione tra coscienza rivendicativa (sindacato) e coscienza politica (partito) (…) Ipotesi degna della massima attenzione ma destinata a sicuro insuccesso (…) si deve d’altra parte riconoscere negli autonomi una potenziale forza antisistema. (…) E’ opportuno seguire con attenzione il fenomeno, evitare lo scontro diretto (anche se è necessario reagire pesantemente alle provocazioni, sia per motivi di prestigio sia perché alla lunga favorisce il dialogo), partecipare con sigle differenziate a iniziative comuni. [Fogli d’Ordine, marzo 1978]
Gli appelli unitari non hanno interruzione. Il giornale rilancia le indicazioni dei Fogli: Diciamo agli autonomi: sveglia ragazzi … i nemici sono comuni e stanno tutti ammucchiati insieme… Lo scontro con gli altri rivoluzionari deve essere ridotto al minimo e se possibile evitato… Non lasciarti coinvolgere nel gioco mortale degli opposti estremismi. [Cla n.1 aprile 1978]. Questo gruppo è il primo della sinistra che abbia cominciato a muoversi in un’ottica di tipo rivoluzionario. Bisogna però dire che essi sono legati ad un’ideologia (il marxismo) superata … nessuno dei nostri dovrà mai attaccare o aggredire gli autonomi, né però dovrà essere loro consentito il contrario. A lungo termine, bisogna realizzare una profonda revisione di tutte le posizioni ideologizzate, fino a ricongiungerci con una visione della vita in un solo popolo che lotta. [Cla n.2, maggio-giugno 1978]
Un altro cavallo di battaglia è il rifiuto della logica gruppettara: “Questo giornale non è espressione di un gruppo, né vuole diventarlo in un futuro più o meno prossimo. Siamo contro tutti i gruppi perché rifiutiamo la logica dei gruppi. Riteniamo residui borghesi ogni conato di egemonismo, ogni settarismo, ogni dogmatismo, ogni sofistica. Crediamo che l’azione rivoluzionaria si debba necessariamente costruire con la lotta delle masse, masse che solo con la lotta saranno capaci di diventare popolo… Contro l’egemonismo, il settarismo, il dogmatismo, la sofistica, deve affermarsi l’unità dell’area rivoluzionaria. Soltanto l’unità ci farà respingere e smascherare le provocazioni e le diversioni, nell’unità possiamo elaborare la strategia vincente” [Cla n.4, ottobre 1978].
Calore spiegherà ai giudici la scelta di campo, che non si limitava alla sfera politica, ma implicava un più ampio approccio alla devianza sociale e l’uso analitico del marxismo come strumento di critica interna al capitalismo: “Consideravo come possibile referente di ogni nostra azione, di ogni nostro discorso, tutta l’area che opportunamente la scuola sociologica di Francoforte ha definito come area del rifiuto. Questo tipo di impostazione portava a considerare omogenee aree estremamente diversificate nella loro origine. Tra le quali la cosiddetta Autonomia operaia ma anche tutte le aree devianti, da quelle della criminalità a quelle del manicomio, dell’emarginazione sociale nel territorio, i cosiddetti sobborghi, le baraccopoli”.
L'invito a sfuggire alla mentalità cospiratrice è costante. Il potere borghese è definito fascista nella misura in cui rappresenta la continuazione di quanto vi era stato di compromissorio, proborghese e prosionista nel regime mussoliniano. L’altro leit motiv è l’opposizione tra ideologia e azione: “Nella nostra storia il fil rouge passa al di fuori delle ideologie. I nostri movimenti si sono sviluppati secondo la logica opposta a quella teoria-prassi. Le ideologie, le costruzioni schematiche, sono qualcosa di estraneo alla nostra natura. E’ invece l’azione in se stessa che accomuna uomini diversi per estrazione sociale e intessei materiali e culturali”. Eppure, questa distinzione è percepita dall’ambiente come operazione ideologica. Secondo Marcello De Angelis: “Costruiamo l’azione era un’organizzazione costituita su basi rigidamente dottrinarie. Tra le sue fila abbondavano i teorici. Ogni sua azione era preparata a tavolino e accompagnata da un complesso documento ideologico-politico. Tp, come del resto i Nar, guardava con sospetto Cla perché i suoi dirigenti facevano parte di generazioni precedenti con storie diverse e confuse alle spalle”.
La scelta di un’organizzazione fluida, non strutturata, richiama la teoria negriana dell’autonomia diffusa. Un’altra significativa coincidenza con la prassi politica negriana (all’epoca della scissione di Potere operaio) affiora sulla questione militare: i “vecchi” pensano di risolvere il problema senza assumersi rischi inutili, sulla base di un rapporto strumentale con la malavita organizzata. Il professor Semerari porta infatti in dote un eccellente rapporto con quella che diventerà l’organizzazione leader a Roma, la banda della Magliana. Ne parlano due “pentiti”. Per Fulvio Lucioli, componente della “batteria di Ostia”: “Il professor Semerari era lo psichiatra di fiducia della banda . Un giorno venne da noi D’Ortenzi, detto Zanzarone, era il 1978 per dirci che Semerari ci proponeva di collocare delle bombe, e di effettuare alcuni sequestri di persona dandoci un elenco di nomi. Ci prometteva di far uscire le persone eventualmente arrestate per questi fatti, come del resto era già riuscito a fare con D’Ortenzi e con Selis messi fuori grazie a perizie psichiatriche di favore”.
Paolo Aleandri conferma: nel 1978 De Felice e Semerari gli proposero di reperire notizie su persone da sequestrare a scopo di estorsione e loro avrebbero passato le notizie ad ambienti della malavita organizzata.
Ad innervare il progetto politico di Cla è l’idea di “attacco diffuso”, uno sviluppo sofisticato della vecchia idea forza delle prime Brigate rosse, la propaganda armata. Ad attrarre i militanti non sarà la capacità di attribuirsi la singola azione ricavandone una particolare aura ma la forza complessiva del progetto al cui interno possono essere ricondotte e comprese le diverse iniziative specifiche. Così dopo che nel mese di febbraio 1978 – a detta dei pentiti ad opera di un ordinovista poi defunto, Giampiero Montavoci, confidente del Sid – un attentato dinamitardo provoca la morte di un vigilante al Gazzettino di Venezia, subito dopo la fine del sequestro Moro parte una campagna di attentati terroristici dimostrativi (e non rivendicati) contro i simboli del potere a Roma. Il primo attentato è compiuto la notte del 22 maggio, nel cortile antistante al ministero della Giustizia: lesiona le strutture dell'edificio, frantuma i vetri circostanti, ferisce leggermente due carabinieri e una passante. La bomba usata contro l’autoparco comunale di via san Teodoro, la notte del 15 giugno, è potente. Numerose auto e vetrate sono distrutte, la porta di accesso scardinata. Cinque giorni dopo è la volta della direzione regionale della Sip. L'edificio e le vetture circostanti riportano gravi danni. La notte del 20 luglio, l’ultimo ordigno danneggia seriamente palazzo Valentini, sede di prefettura e provincia. Un poliziotto resta ferito. L’operazione è circoscritta a una cerchia ristrettissima di militanti, che ruotano intorno alla vulcanica personalità di Lele Macchi, capobanda autonomo e leader riconosciuto nell’ambiente spontaneista, il primo a scoprire e a diffondere il mito dei Pellerossa come comunità nomade e guerriera: gli ordigni sono confezionati da Marcello Iannilli, che proviene da una breve militanza nell’estrema sinistra. A sostegno della lotta contro i manicomi i due organizzano anche un’incursione a Santa Maria della Pietà, con tanta di apertura dei cancelli e di messa in libertà dei ristretti. La campagna galvanizza i microgruppi di affinità soliti celebrare le più svariate occasioni mettendo botti contro le sedi dei partiti di sinistra. Calore enfatizza il boom successivo di piccole iniziative spontanee: “In un paio di mesi, noi come gruppo realizzammo direttamente una quindicina di attentati al massimo, ma in realtà ne furono compiuti da altri gruppi che si accodarono alla campagna almeno una sessantina. Quindi sostanzialmente verificammo la disponibilità di un certo tipo di area a seguire delle direttive che arrivavano anche in maniera così indiretta”.
Tra i protagonisti della campagna c’è anche la banda di Monteverde, che compirà anche vari attentati contro sedi politiche. Tra il 14 e il 16 giugno Cristiano Fioravanti, Alibrandi e Andrea Pucci colpiscono, tra Laurentino e Acqua acetosa, con ordigni esplosivi o molotov. La rivendicazione, a nome dei Signori della guerra , usa un simbolo grafico simile al nodo di rune adottato da Tp: “Contro l’aumento indiscriminato dei prezzi voluto dal governo Dc-Pci, rivolto a colpire tutte le classi lavoratrici e la nazione, in questi giorni alcune cellule dei Nar hanno colpito a Roma due centrali dell’Acea e la Centrale del Latte. Contro le speculazioni del governo, lotta armata per il fascismo. Boia chi molla”.
Tra fine ottobre e novembre 1978 sono compiuti tre attentati contro sezioni del Psi, di cui uno molto pericoloso. Cristiano racconterà: "Ricordo, in particolare, un attentato ad una sezione socialista, quella di Testaccio che fallì per difetto di esplosivo, ma che avrebbe potuto avere gravi conseguenze; infatti, deponemmo la bomba o meglio deposi la bomba sul davanzale di una finestra della sezione nel cui interno vi erano moltissime persone. La bomba non esplose perché la polvere era umida. Se fosse esplosa avrebbe potuto uccidere o ferire molte persone” . Quanto al “procacciamento di esplosivo posso solo dire che gli attentati fatti dal nostro gruppo (tre al Psi, uno al Pci-zona Alberone) furono fatti con esplosivo procurato nei seguenti modi: con balistite granulare ricavata da proiettili di contraerea pescati in più riprese nell'estate e inverno 1979 a Ponza su un relitto di nave americana. Mio fratello provvedeva a predisporlo ed a preparare l'ordigno che esplodeva con semplice miccia. A pescarlo provvedevamo io, mio fratello, Alibrandi e Tiraboschi. Per altri attentati (Acea, Centrale del latte) usammo il tritolo acquistato da Alibrandi. Per gli attentati a due sezioni di Autonomia Operaia utilizzammo esplosivo procurato presso una cava di Civitavecchia.".
(2-continua)
NOTA
1) Aleandri, nel corso di un confronto giudiziario con Calore, ricostruisce i rapporti con il leader della loggia P2 distinguendo tre fasi: 1) riferisce a Gelli quanto gli comunicava telefonicamente il latitante Filippo De Iorio, consigliere regionale dc ricercato per il golpe Borghese; 2) riporta al Maestro alcuni progetti di De Felice, tentativi di entrare in contatto con ambienti economici ed affaristici e offerte al maestro venerabile di usare l’organizzazione neofascista . In realtà Aleandri si guarderà bene dal farlo perché “la linea politica che in quel periodo (1978) io andavo elaborando con Calore mi rendevano ostile a simili ipotesi”. Non trasmette neanche la richiesta di favorire la permanenza di Graziani in Paraguay poiché Gelli aveva rapporti di amicizia con il presidente Stroessner; 3) presenta a Gelli due cronisti giudiziari intimi di De Felice, Franco Salomone del Tempo e Claudio Lanti del Giornale. Il primo consegnerà ad Aleandri una lista di pm romani, con l'orario dei turni. Il secondo assiste tranquillamente al diverbio in cui De Felice pretende di gestire direttamente i proventi delle rapine. I rapporti diretti tra Fachini e il capitano Labruna, smentiti dai diretti interessati, sono confermati da Vinciguerra e da Giannettini, che racconta di aver costituito il contatto tra i due.
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