Omicidio Calore/20 - L'eredità di Ordine nuovo: i Gao
La rottura con Delle Chiaie in Spagna non rappresenta un addio alle armi. Concutelli rientra fortunosamente in Italia, nell’aprile 1976, e in un paio di mesi, appoggiandosi ai “quadri coperti” di ORDINE NUOVO, molti dei quali – dalla Sicilia alla Liguria – militanti di LOTTA POPOLARE, mette su una piccola organizzazione da combattimento, i GRUPPI DI AZIONE ORDINOVISTA, la prima formazione della destra radicale che persegue un progetto strategico di lotta armata, poi rivendicato con orgoglio dal leader,
che ci tiene a rimarcare le distanze dalla successiva generazione ribellistica dello “spontaneismo armato”, che al di là di alcune teorizzazioni maturate in ambiente penitenziario sarà un fenomeno per lo più “difensivo”, nato nell’area giovanile missina e sostanzialmente privo di un progetto politico. I primi fuochi di “guerriglia” nera, ispirati dalla contemporanea escalation militare delle BRIGATE ROSSE9, si bruciano in due settimane. Sufficienti a lasciare in terra due morti, il PM Vittorio Occorsio e il custode di una villa di Tivoli, assaltata per raccogliere armi, e portare in cassa 460 milioni, rapinati alla banca del ministero del Lavoro. Un trittico perfetto,
dal punto di vista del progetto guerrigliero, con l’articolazione nelle tre fasi dell’iniziativa armata: l’attacco al nemico, l’armamento, il finanziamento.
Forte di questi “successi”, Concutelli pretende la leadership politica e rompe con Signorelli, che pagherà a carissimo prezzo il tentativo di tenere assieme organizzazione politica e apparato clandestino. Sarà infatti incasellato da unamagistratura abituata a ragionare per “tipi di reo” come l’unico possibile “capo” della “lotta armata” di destra. E ci vorranno
decine di processi e nove anni di carcerazione preventiva per smantellare questo teorema.
Dopo lo strappo si schierano invece con il “comandante” i militanti tiburtini cresciuti nel DRIEU LA ROCHELLE, il circolo di movimento fondato dal “professore” e che aveva scansato le successive ondate repressive contro ON. I soldi sono distribuiti a pioggia
tra i diversi nuclei (Perugia, Catania, Tivoli). La quota più consistente è affidata a un genovese del giro della FENICE, Mauro Meli, il primo contatto al rientro in Italia. Lo tradirà la passione per un travestito: la polizia lo fotografa in sua compagnia e istiga la moglie a vendicarsi con una “soffiata”. Tutta la rete logistica è raccogliticcia, così un giovane procuratore tignoso, il fiorentino Pier Luigi Vigna (che diventerà molti anni dopo procuratore nazionale antimafia) ci mette poco a individuarla. Ad agosto, per un attentato minore contro un magistrato, è smantellato il nucleo perugino: tra gli arrestati c’è Barbara Piccioli, la fidanzata di Gubbini, che ha affittato il primo “covo” a Ostia. Due mesi dopo, grazie al memoriale scritto da Tuti, il PM individua il giro di “Peppino l’impresario”. Scopre il custode della moto usata per l’omicidio e arresta due fiancheggiatori: Marcello Sgavicchia, un quarantacinquenne che gestisce la cassa e Gianfranco Ferro, un pugliese arruolato nel periodo dell’unificazione. Hanno affittato entrambi rifugi per Concutelli, ma a casa del secondo è trovata una pistola. Vigna lo mette sotto pressione e ottiene un’ampia confessione (inutilmente ritrattata al processo): era lui il conducente della moto usata nell’agguato.
L’ultimo gruppo di fuoco, avvitato in una spirale di paranoia militarista, resiste pochi mesi in un clima di crescente isolamento. Gli ambiziosi attentati progettati con fantasia e gusto teatrale, dall’agguato contro il capo dell’Antiterrorismo alla distruzione dell’aula bunker usata per il processo al MPON, si rivelano velleitari. I rapporti appena stretti con la banda Vallanzasca sono fatali: Paolo Bianchi, un rapinatore di Tivoli rientrato nel giro ordinovista, si fa arrestare per permettere la fuga del braccio destro del bel René, ma poi per assicurarsi l’impunità “soffia” l’indirizzo dell’ultimo covo. Gli attendenti, Sergio Calore e Aldo Tisei, entrambi confidenti dei carabinieri, si dileguano all’ultimo minuto e Concutelli sarà solo al momento della cattura. Due giorni dopo toccherà anche al “bandito della Comasina”.
che ci tiene a rimarcare le distanze dalla successiva generazione ribellistica dello “spontaneismo armato”, che al di là di alcune teorizzazioni maturate in ambiente penitenziario sarà un fenomeno per lo più “difensivo”, nato nell’area giovanile missina e sostanzialmente privo di un progetto politico. I primi fuochi di “guerriglia” nera, ispirati dalla contemporanea escalation militare delle BRIGATE ROSSE9, si bruciano in due settimane. Sufficienti a lasciare in terra due morti, il PM Vittorio Occorsio e il custode di una villa di Tivoli, assaltata per raccogliere armi, e portare in cassa 460 milioni, rapinati alla banca del ministero del Lavoro. Un trittico perfetto,
dal punto di vista del progetto guerrigliero, con l’articolazione nelle tre fasi dell’iniziativa armata: l’attacco al nemico, l’armamento, il finanziamento.
Forte di questi “successi”, Concutelli pretende la leadership politica e rompe con Signorelli, che pagherà a carissimo prezzo il tentativo di tenere assieme organizzazione politica e apparato clandestino. Sarà infatti incasellato da unamagistratura abituata a ragionare per “tipi di reo” come l’unico possibile “capo” della “lotta armata” di destra. E ci vorranno
decine di processi e nove anni di carcerazione preventiva per smantellare questo teorema.
Dopo lo strappo si schierano invece con il “comandante” i militanti tiburtini cresciuti nel DRIEU LA ROCHELLE, il circolo di movimento fondato dal “professore” e che aveva scansato le successive ondate repressive contro ON. I soldi sono distribuiti a pioggia
tra i diversi nuclei (Perugia, Catania, Tivoli). La quota più consistente è affidata a un genovese del giro della FENICE, Mauro Meli, il primo contatto al rientro in Italia. Lo tradirà la passione per un travestito: la polizia lo fotografa in sua compagnia e istiga la moglie a vendicarsi con una “soffiata”. Tutta la rete logistica è raccogliticcia, così un giovane procuratore tignoso, il fiorentino Pier Luigi Vigna (che diventerà molti anni dopo procuratore nazionale antimafia) ci mette poco a individuarla. Ad agosto, per un attentato minore contro un magistrato, è smantellato il nucleo perugino: tra gli arrestati c’è Barbara Piccioli, la fidanzata di Gubbini, che ha affittato il primo “covo” a Ostia. Due mesi dopo, grazie al memoriale scritto da Tuti, il PM individua il giro di “Peppino l’impresario”. Scopre il custode della moto usata per l’omicidio e arresta due fiancheggiatori: Marcello Sgavicchia, un quarantacinquenne che gestisce la cassa e Gianfranco Ferro, un pugliese arruolato nel periodo dell’unificazione. Hanno affittato entrambi rifugi per Concutelli, ma a casa del secondo è trovata una pistola. Vigna lo mette sotto pressione e ottiene un’ampia confessione (inutilmente ritrattata al processo): era lui il conducente della moto usata nell’agguato.
L’ultimo gruppo di fuoco, avvitato in una spirale di paranoia militarista, resiste pochi mesi in un clima di crescente isolamento. Gli ambiziosi attentati progettati con fantasia e gusto teatrale, dall’agguato contro il capo dell’Antiterrorismo alla distruzione dell’aula bunker usata per il processo al MPON, si rivelano velleitari. I rapporti appena stretti con la banda Vallanzasca sono fatali: Paolo Bianchi, un rapinatore di Tivoli rientrato nel giro ordinovista, si fa arrestare per permettere la fuga del braccio destro del bel René, ma poi per assicurarsi l’impunità “soffia” l’indirizzo dell’ultimo covo. Gli attendenti, Sergio Calore e Aldo Tisei, entrambi confidenti dei carabinieri, si dileguano all’ultimo minuto e Concutelli sarà solo al momento della cattura. Due giorni dopo toccherà anche al “bandito della Comasina”.
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