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Omicidio Calore/14: La campagna di primavera e gli arresti per Cla-5

Prosegue, nel quadro dello speciale dedicato all'omicidio di Sergio Calore, la pubblicazione della storia di "Costruiamo l'azione", estratta dal mio volume "Guerrieri" (Immaginapoli, 2005).
Qui la 
prima, la seconda, la terza, e la quarta parte.



Ad ogni buon conto, nonostante la spaccatura annunciata, i rapporti continuano a intrecciarsi: tra Aleandri e Semerari per gli “impicci” con la banda della Magliana  e la camorra napoletana; tra Calore e Signorelli per il meeting contro la repressione; tra gli operativi e il Veneto, per lo scambio di materiali. La campagna di primavera – questa volta rivendicata con la sigla Movimento rivoluzionario popolare e un logo già diffuso da Cla, un mitra e una spiga – è inaugurata il 20 aprile. Con la solita ambiguità: un discorso di rivendicazione (lessico e impostazione) di sinistra, un metodo di destra (le Br si fanno un punto d’onore di non usare il tritolo). Il primo “botto” è eseguito, come l’anno prima, da Iannilli (coadiuvato da Aleandri e Bruno Mariani, un ragazzino che avrà una rapida e bruciante carriera), contro la sala consiliare del Campidoglio. Anche in questo caso la sentenza del maxiprocesso Ordine nuovo bis smentisce Aleandri ricordando che era, "sempre stato costante nel dichiarare che l'esplosivo utilizzato per l'attentato al Campidoglio era quello proveniente dal gruppo veneto; egli stesso avrebbe telefonato a Fachini chiedendo di mandargli ‘cinque portafogli’ (detonatori) e ‘una borsa’ (1 Kg. di esplosivo), materiale recapitatogli dal Raho ed impiegato tutto in quell'attentato".
 La sentenza avverte, tuttavia, che le dichiarazioni non erano confortate da ulteriori elementi essendo venuta meno la conferma di Calore, che nel corso del processo aveva negato di avere mai ricevuto esplosivo da Fachini. Le sue dichiarazioni si erano sempre basate su ciò che gli aveva detto Aleandri, con una sola eccezione: " aveva aggiunto, invero, di avere presenziato in una sola occasione alla consegna, da parte di Fachini in persona, nella casa di Aleandri, di ‘una decina di detonatori’. Asserzione anche questa priva di dati di riscontro".
 Il secondo attentato, la notte del 14 maggio, porta – a detta di Aleandri – la “firma“ tecnica di Fachini: 30 chili di esplosivo sono innescati usando il T4 come detonatore secondario. Abbiamo visto invece che era altra la scuola a cui si era formato Iannilli. Due i volantini di rivendicazione:  "Questa notte all' 1.37 un nucleo armato del Movimento rivoluzionario popolare ha colpito il carcere di Regina Coeli. Rivendichiamo la determinazione a colpire le strutture portanti del controllo capitalista, gli uomini della ristrutturazione, i meccanismi del potere statale diffuso. Libertà per i detenuti politici. Nel momento in cui i nuovi strumenti del capitalismo spezzano la composizione di classe e producono una ristrutturazione per crisi susseguentisi, lanciamo un appello alle forze rivoluzionarie per l'intensificazione di una pratica di contropotere diffuso, contro il fascismo dello Stato aprendo un fronte dialettico e armato, che nella distruzione delle strutture di trasmissione del potere, ricomponga quell'unità di cui ora necessita la rivoluzione".
Un'appropriazione indebita di Calore, ha spiegato Lele Macchi. Egli stesso, infatti, rivendicava gli attentati con brevi messaggi composti da soli slogan ma in un paio di occasioni si era sovrapposto, autonomamente, un documento scritto da Calore di più ampio e complesso respiro politico. 
 L'esplosione provoca ingenti danni alla sede stradale, alla condotta d'acqua sottostante, al portone d'accesso, alle strutture murarie, agli arredi. Una ventina di auto sono danneggiate o distrutte. L’estrema violenza degli attentati sarà un segnale distintivo dell’intera campagna che si concluderà con quella che gli inquirenti sostengono sia stata una strage mancata mentre Macchi e Iannilli insistono che si trattava soltanto di un avvertimento forte, vale a dire: noi abbiamo tutto per fare una strage ma non la volontà di farlo. La scelta dell’obiettivo richiama immediatamente l’iniziativa fallita una settimana prima, del convegno contro la repressione, che nelle intenzioni di Calore e Signorelli, uniti ancora per una volta, avrebbe dovuto richiamare l’attenzione di settori dell’Autonomia, frastornati dalla mazzata giudiziaria del 7 aprile, il blitz che ha mandato in galera o in latitanza l’intero vertice del movimento, da Scalzone a Negri, da Piperno a Pace. Dieci giorni dopo è la volta del ministero degli Esteri. Sono provocati ingenti danni alle strutture della Farnesina. Ad agire è lo stesso terzetto. La rivendicazione scritta da Calore, accentua i toni antifascisti e antimperialisti:  "L'attuale fase della lotta al capitalismo non è quella di una guerra di liberazione: ne costituisce però le premesse. Gli attacchi condotti dal Movimento rivoluzionario popolare sono stati diretti contro strutture simboliche del potere. Questo per aprire le contraddizioni tra apparati formalmente democratici e il loro uso antiproletario ... Accentuare la pratica della guerriglia diffusa per la creazione di aree liberate dal punto di vista militare e sociale... Contro l'imperialismo e il fascismo lotta senza tregua".
 Per Calore si tratta di un tentativo di avviare una ricomposizione, anche di classe, dell’ambiente rivoluzionario rompendo con il mondo neofascista. Velleità o provocazione? 
Certo è che, dietro l'attentato fallito il 20 giugno dal Mrp a piazza Indipendenza alla sede del Consiglio superiore della magistratura gli inquirenti lanciano l'accusa di una strage cercata e non trovata per sbaglio (o soltanto esibita come potenzialità terrorista). Quel pomeriggio a piazza Indipendenza è previsto il raduno nazionale degli alpini. L'ordigno, 99 candelotti di dinamite, è collocato in un’auto rapinata e comandato da un congegno a tempo della durata di un'ora. I periti smentiscono la presenza di un cartoncino inserito da Iannilli per evitare la chiusura del circuito. Ma Macchi assicura che, in un paio di circostanze, in occasione di ordigni non esplosi per sbaglio, Iannilli con notevole sprezzo del pericolo aveva provveduto a rimuovere gli ordigni per scongiurare vittime casuali per un'improvvisa esplosione. La campagna - insiste il leader del Mrp - era mirata a fare rumore senza causare spargimenti di sangue e quindi loro si ritenevano moralmente impegnati a non provocare vittime.
 Intanto un’inchiesta della magistratura partita da Rieti, con il sequestro dell’archivio di un attendente di De Felice, Maurizio Neri, che ha fondato il gruppo Unità rivoluzionaria manda in galera alcuni dirigenti e quadri di Cla, da Calore a Signorelli, ma anche il professor Claudio Mutti, che è subentrato a Fachini nella gestione della casa editrice di Freda. La conduce, in beata solitudine, il pm Mario Amato, che pagherà un durissimo prezzo per la sua determinazione. In carcere i due leader di Cla conoscono Valerio Fioravanti, inquisito per l’assalto al Pci Esquilino. Signorelli racconta divertito il primo approccio:
  Un pomeriggio si affacciò allo spioncino un giovane dal volto rubizzo e dai capelli cortissimi. Sorridendo chiese del professor Signorelli. Gli domandai chi fosse.
 Sono Valerio Fioravanti.
 Ah, sei il “cocomero”.
 No, sono il “melone”. Finalmente posso conoscere il mio “capo”.
  Il professore spiega che nell’ambiente neofascista il fratello noto era Cristiano, che aveva appunto quel soprannome. La scelta di metterselo in cella la pagherà caramente:   "La nostra frequentazione coatta sarebbe diventata oggetto di infinite costruzione teorematiche da parte di magistrati alla ricerca di un inesistente Grande Vecchio dell’”eversione nera” . Per anni si insisterà nel negare autenticità allo “spontaneismo” dei Nar e nel voler ricondurre un fenomeno di ribellismo giovanile – composto di rabbia, di disperazione, e di desiderio di vendetta – a una elaborata strategia di attacco al sistema". 
 Gli altri due pagheranno ancor più quella frequentazione coatta. Al suo debutto militare, in compagnia di Valerio, Calore è arrestato per concorso in omicidio. Fioravanti, invece, che in vita sua non ha mai messo un botto, finirà condannato come esecutore della strage di Bologna perché i giudici gli attribuiscono la continuità organizzativa con l’esperienza bombarola dell’Mrp anche in base al rapporto carcerario. 

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