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Il lodo salva-Lega e la Guardia nazionale padana - 1

 - 1 Italia dei valori ha presentato una mozione di sfiducia contro il ministro della Semplificazione legislativa, Roberto Calderoli: avrebbe mentito sul lodo 'salva Lega', ovvero sulle norme che, cancellando il reato di associazione militare per scopi politici, hanno determinato l'estinzione del processo a carico di 36 leghisti. C'è un giallo parlamentare sullo sfondo: nel testo originale questo reato associativo non figurava tra quelli aboliti e sarebbe stato inserito in sede ministeriale prima della pubblicazione sulla Gazzetta ufficiale. Un secondo "intervento" si è poi reso necessario per lasciar decadere l'impegno per la rettifica, assunto dal ministero della Difesa, convinto che l'inserimento fosse frutto di un mero errore materiale. Così con l'entrata in vigore della norma, l'8 ottobre, si è concluso sul nascere il processo alla Guardia nazionale padana che aveva avuto quattordici anni di incubazione ed era stata avviata dall'allora procuratore Guido Papalia. Questa è la prima parte. Qui potete leggere la seconda parte

Il rinvio a giudizio per i trentasei militanti della Lega Nord, tra i quali il sindaco di Treviso Giampaolo Gobbo e il parlamentare Matteo Bragantini, era stato deciso nello scorso mese di gennaio dal Gup di Verona che aveva fissato l'udienza d'apertura al primo ottobre scorso, accogliendo la tesi della procura, che accusava le 'camicie verdi' di essere un'associazione a carattere militare. Il procedimento aveva subito due lunghi momenti di pausa in attesa che Strasburgo prima e la Corte Costituzionale poi si pronunciassero sulla posizione dei dieci indagati che all'epoca ricoprivano la carica di eurodeputati o di parlamentari. L'indagine aveva coinvolto anche i vertici del Carroccio, tra i quali il leader Umberto Bossi, Roberto Maroni e Roberto Calderoli, usciti definitivamente dall'inchiesta nel dicembre scorso.
L'iniziativa giudiziaria di Papalia, una delle tante prese dal procuratore calabrese in quegli anni, si collocava nella massima fase di radicalizzazione della Lega. Dopo le elezioni del 1996, in cui il Carroccio aveva corso da solo, ottenendo un cospicuo risultato (circa il 10%) e consegnando il successo al centrosinistra, Bossi aveva spinto sull'acceleratore del secessionismo. Politicamente si tratta di un secolo fa. Giuridicamente non ho le tabelle sotto mano ma con ogni probabilità si tratta di un processo destinato alla prescrizione. Ecco come raccontavo la storia nella prima edizione di Fascisteria:
Tre giorni dopo la proclamazione dell’indipendenza della Padania a Venezia, il 18 settembre 1996, la Digos va a perquisire la sede federale di Via Bellerio a Milano. L’obiettivo è la scrivania di Corinto Marchini, il capo delle camicie verdi lombarde: i dirigenti resistono con la forza e protestano perché l’ufficio perquisito era di Maroni. L’ex ministro degli Interni si distingue per combattività e così, paradossalmente, finisce in ospedale per le botte ricevute dai suoi ex “dipendenti”, che dopo alcune ore di fronteggiamento si decidono a caricare. Gli indagati sono due: Marchini ed Enzo Flego, il leader veneto delle camicie verdi. Le imputazioni sono pesantissime: attentato alla Costituzione e all’unità nazionale, associazione segreta.
Gli scontri in sede daranno vita a un processo per resistenza e oltraggio che si conclude con la condanna a otto mesi degli onorevoli Maroni, Borghesio, Davide Caponini e dei dirigenti leghisti Piergiorgio Martinelli e Roberto Calderoli. Bossi, arrivato come suo solito in ritardo, a scontri iniziati, ha un piccolo sconto: 7 mesi. Il pm aveva chiesto un anno, non ritenendo calci e pugni (anche due poliziotti si erano fatti medicare in ospedale) esercizio del mandato parlamentare o dell’attività politica dei partiti, diritti costituzionalmente garantiti. Il secondo blitz è a ridosso del summit delle Procure (e di una grande manifestazione leghista a Milano), il 21 novembre 1996. L’esito delle 17 perquisizioni (sequestrate agende, documenti, camicie verdi, foulard, spille, gadget vari e volantini) per associazione di carattere militare (la Guardia nazionale padana) scatena la furia (Maroni) e il dileggio (Bossi) del vertice leghista. L’ex ministro degli Interni, ancora con il dente avvelenato per le botte prese, chiede l’allontanamento di Papalia dalla magistratura: “Sono io il capo della Guardia Nazionale Padana. Perché non mi indaga?”. Guiderà poi una delegazione d’imputati, come avvocato, dal procuratore, insieme a una task force di legali leghisti elabora un esposto al Csm, una richiesta di incompatibilità ambientale. Tra i materiali sequestrati al vicesindaco di Volongo, Angelo Corini, responsabile della Brigata Vipera della GNP ci sono anche venti copie del testo del Coro del Nabucco e una Gazzetta ufficiale della Comunità europea. Il senatür la prende a ridere: “Quel terün de la madonna ha arrestato il “Va pensiero”. Deve mostrare i muscoli per stroncare le idee … Bel campione di democrazia il Papalia, figlio di una classe dirigente ma solo politica, solo mafiosa… Meglio una camicia verde in Padania che una camicia nera in Tribunale”. Gli indagati (rischiano fino a 10 anni di carcere) sono quadri intermedi lombardo-veneti: c’è il responsabile comasco della GNP, Luciano Grammatica, il veronese Marcantonio Brigantin, un catechista d’Induno Olona, Stefano Cavallin. All’operaio Riccardo Paggi, fiduciario della Valtellina, sequestrano schede manoscritte di adesione, al responsabile mantovano delle camicie verdi un fucile Flobert regolarmente denunciato. Massimo Carpeggiani s’indigna: io non sto neanche nella GNP (il responsabile della Bassa è l’onorevole Anghinorri). La distinzione non è capziosa ma frutto di un’ossessione statalista: l’unico termine di paragone comprensibile è con il fascismo (tra milizia del PNF e polizia di Stato). Le camicie verdi sono il servizio d’ordine del Comitato di liberazione della Padania, la GNP il corpo di sicurezza del governo padano. (1-continua)

5 commenti:

  1. Assai OT, ma su questa storia, hai mai scritto qualcosa?

    http://kelebek.splinder.com/post/11265369/la-belle-dame-sans-merci

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  2. l'unico delitto politico degli anni 70 schedato come tale in Romagna è l'omicidio di un bracciante di 43 anni da parte di un neofascista, a Faenza nel luglio 1973, a sto punto ti tocca passarmi le coordinate sia pure in privato visto che nel tuo blog hai deciso di riconoscere il diritto all'oblio
    e comunque nella ricerca con google ho riacchiappato un pezzo di storia interessante che racconterò in giornata ...

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  3. Non sapevo che questa storia fosse sfuggita alla Storia. Meglio così per tutti i protagonisti, che da allora hanno avuto quarant'anni o quasi per riflettere sulla vanità di tante cose.

    Grazie comunque.

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  4. "l'unico delitto politico degli anni 70 schedato come tale in Romagna è l'omicidio di un bracciante di 43 anni da parte di un neofascista, a Faenza nel luglio 1973"

    esatto si trattava di Adriano Salvini, ucciso a botte dal fascista Daniele Ortelli per futili motivi davanti ad un bar vicino la piazza principale della città manfreda. Ortelli, mi hanno detto i suoi vecchi camerati che è morto per droga in seguito. A suo tempo l'evento nella mia Faenza ed in tutta la Romagna fece molto scalpore. Ai funerali di Salvini parteciparono decine di migliaia di persone.

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