Sessant'anni e li dimostra: la destra radicale vista da Tassinari -1
E' stato presentato ieri a Salerno "Fuori dal cerchio-Viaggio nella destra radicale italiana", il bellissimo libro-intervista di Nicola Antolini di cui ho già abbondantemente parlato. Poiché, come mi faceva notare Miro Renzaglia, è poco elegante recensire i libri in cui sei tra gli intervistati (e l'osservazione, in questo caso, vale vieppiù per chi si vede riconosciuto dall'autore un particolare tributo, a partire dallo stesso nome dell'opera) ho deciso di fare il contrario. Sarò cioè io a far parlare Antolini di me, pubblicando la parte introduttiva del capitolo che mi riguarda. Perché ci sono tutte le qualità che fanno di Nicola un grande intervistatore: la curiosità, la pazienza velata di ironia, il piacere di ascoltare, lo sguardo laterale. Poiché il testo è proporzionato al fiume di parole con cui l'ho sommerso, e lui è stato bravissimo a non perdersi, l'ho diviso in due parti. Qui potete leggere la seconda.
di Nicola Antolini
Ugo Maria Tassinari, va detto per chi non lo conosce, è una personaggio dal percorso del tutto particolare: legato e radicato negli ambienti dell’estrema sinistra napoletana negli anni di piombo, legato da un sentimento di forte amicizia e da una lunga militanza politica a Oreste Scalzone, vecchio leader di Autonomia e di Potere Operaio, giornalista e scrittore di sinistra, con gli anni è divenuto uno dei maggiori studiosi della destra radicale: più di vent’anni di ricerca e di studio “disperato”, come dice lui, per diventare “il primo degli Svizzeri”, uno dei più importanti conoscitori, cioè, di una materia che “rispetto allo scibile umano” è talmente “piccola da sembrare irrisoria”, ma talmente ramificata, da risultare virtualmente infinita.
Negli ultimi anni, Tassinari è stato autore di numerose pubblicazioni sul mondo intricato della militanza fascista, neofascista e postfascista: tra i suoi titoli e sottotitoli, il dvd “I Colori del Nero”, “Naufraghi” (da Mussolini alla Mussolini, 60 anni di Storia della Destra Radicale) e “Guerrieri” (1975/1982, storie di una Generazione in Nero) [tutti editi da Immaginapoli, ndb]. Il suo libro più famoso è senza dubbio “Fascisteria”, un’imponente tomo di socio-storia in cui ritroviamo di tutto, da Evola a Borghezio, dal Msi ad Azione Skinhead, da Almirante al più oscuro dei militanti tangenziali, il cui nome è apparso solo sulle cronache di qualche giornale locale. Messa così, può sembrare il resoconto di un ammasso improbabile e a tratti confuso. In realtà, si tratta del tentativo importante di rendere intelligibili le linee invisibili che sembrano tenere uniti i pezzi di un intero mondo quasi sconosciuto, si chiamino esse “cultura”, “politica” o, appunto militanza comune, “fascisteria” dal concetto francese di “compaignerie” al quale si ispira il titolo del libro. Un tentativo riuscito, per un un’opera che non disdegna di ricostruire vicende minute e sconosciute, perché significative o esemplari, o per semplice amor di conoscenza e, forse, di anticonformismo. Seguendo nel contempo un impianto cronologico, ma soprattutto tematico, l’opera restituisce il “quadro di civiltà” delle destre radicali italiane, uno tra i più completi e dettagliati che siano mai stati delineati.
Tassinari, nonostante non manchi mai di professare la propria distanza dall’ambiente che descrive, per alcuni militanti di destra è diventato un punto di riferimento, un soggetto dialettico con il quale confrontarsi in modo schietto e leale. Oggi, dopo una decisione che per ragioni politiche e personali è stata non facile e sofferta, è protagonista di un’interlocuzione diretta con i fascisti che sono stati oggetto del suo studio, un confronto politico e culturale che lo porta ad essere fisicamente e intellettualmente presente in ogni spazio in cui lo si inviti per affrontare il tema della fascisteria. E siccome i compagni non sembrano amare troppo l’argomento, questi momenti dialettici sono quasi sempre patrocinati da destra.
Mi è capitato di seguirlo in un paio di dibattiti-incontro di cui è stato protagonista: era ospite di CasaPound quando l’ex brigatista Morucci ha parlato della sua militanza di caccia al fascista. A Bologna è stato ospite della stessa organizzazione per un dibattito il cui titolo, “Sessant’Anni e li Dimostra” ha suscitato perplessità e polemiche: qualcuno ci ha letto un attacco alla Costituzione e ai valori antifascisti del dopoguerra. In realtà, in quella occasione, Tassinari e Adinolfi si sono confrontati sulla storia e sulla prospettive della destra, sia essa “radicale”, come negli anni Settanta, sia essa “terminale”, aggettivo con il quale Adinolfi qualifica i partitini a destra di An e le mini-alleanze estreme che si formano a ogni tornata elettorale, e che non riescono più a rappresentare un’opzione politica credibile. Inutili, spiega Adinolfi, perché non c’è istanza che non sia già rappresentata nelle forze che compongono il cosiddetto “arco parlamentare” da posizioni di maggioranza: sei giustizialista? C’è Di Pietro. Sei xenofobo? La Lega. Tradizionalista in fatto di costumi personali e famigliari? Ce ne sono quanti ne vuoi, nel Pdl ed oltre… Addirittura, ce ne stanno nel Pd.
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