E Romagnoli mette in panchina Puschiavo
Pino Rauti? Ce l'ho Paolo Signorelli pure. Adriano Tilgher, due volte. I grandi vecchi: Erra, Sergenti e Dal Piaz, pure. I giovani rampanti? Hai voglia, Iannone, Castellino, Boccacci, Paolo Caratossidis. Quel gran rompicoglioni di Staiti non poteva mancare. I giornalisti? Pisanò e Gaudenzi. L'ex parlamentare? Clemente Manco. Il sindaco? Cucculo. L'europarlamentare? Bigliardo. L'ex leader del Fdg? Marco Valle. Il principe nero? Lillino Sforza. Il nipote del Duce? Guido, figlio di Vittorio. L'intellettuale? Cospito. Il sacerdote? Don Olindo del Donno. Ci sono tutti. L'album delle figurine degli epurati (e dei messi alla porta) della Fiamma tricolore era quasi completo. Comprese due foto di gruppo: le sezioni dei martiri: Prati e Acca Larentia. C'era solo una casella vuota. Quella di Piero Puschiavo. E ci ha pensato Luca Romagnoli a riempirla, escludendo il leader della minoranza interna e già del Veneto front skinhead, dalla segreteria nazionale. Giusto alla vigilia del meeting in programma a Vicenza tra la componente "Fiamma futura" e Francesco Storace. Perché sia chiaro a tutti che il titolare del copyright è lui e con lui si deve trattare. Eppure, dopo Fiuggi, la storia della rifondazione missina sembrava promettente. Io l'ho raccontata così, in Naufraghi (Immaginapoli, 2007).
Dalla rifondazione alla prima ondata di epurazioni (1995-1997)
Quando, nel gennaio 1995, al congresso di Fiuggi, si compie il traghettamento nel salotto buono della politica italiana del Movimento sociale italiano rigenerato in Alleanza nazionale, i missini sono appena tornati all’opposizione, grazie al “tradimento” di Umberto Bossi. Ma il percorso politico è ormai tracciato. Gli unici a dare battaglia, in nome della continuità neofascista, sono due dirigenti caratterialmente agli antipodi: il raffinato intellettuale Pino Rauti e il tozzo attivista Teodoro “er Pecora” Buontempo, un mito per la “base” romana. Una battaglia a termine: perché il secondo non ha intenzione di togliere il disturbo mentre il primo organizza una scissione in cui non lo seguirà neanche il genero Gianni Alemanno. Alla fine solo 5 vecchi ordinovisti si iscrivono alla Fiamma tricolore. Molto si è scritto sulla funzionalità della sopravvivenza di una riserva indiana “neofascista” al disegno politico di Fini e al gruppo dirigente di Alleanza nazionale (una generazione cresciuta insieme, tutti nel Fronte della gioventù degli anni ‘70: dal leader a Storace, da Gasparri a La Russa, da Urso ad Alemanno). L’ultima a rilanciare – dieci anni dopo – la voce di un accordo sottobanco tra Rauti e Fini è Alessandra Mussolini, per poi ricondurre il suo neonato movimento nell’orbita strategica della Casa delle libertà.
La prima manifestazione neomissina, all’hotel Ergife, vede una partecipazione di massa. Aderiscono al partito le sezioni di Ostia e di Acca Larentia (con gli ex di Movimento Politico) e un consistente nucleo di Prati . Così come per Rifondazione comunista, intorno a una figura carismatica che invera la continuità della tradizione (lì Cossutta, qui Rauti) e piccoli nuclei di apparato, si aggregano centinaia di cani sciolti, di disillusi che avevano abbandonato la milizia negli orribili anni ’80. Ma è proprio il “grande vecchio” a mettere in guardia dai rischi del passatismo: "Purtroppo non conosco i giovani della Fiamma, non so perché indossino la camicia nera ma so che gli piace. Però avevo chiesto di non usarla, perché se le camicie verdi sono una buffonata le camicie nere sono una cosa seria, con una storia, un significato. E usarle come manifestazioni di nostalgismo non lo accetto granché. E non mi piace che il partito rischi di essere preso come una sorta di museo delle cere. E poi senta, folklore e camicie nere a parte, la cosa è molto semplice: abbiamo un'idea, sbagliata che sia è un'idea. E io personalmente ho una certezza: non ho lottato una vita per fare il servo di Berlusconi".
Ai primi di marzo Rauti presenta i suoi: 25mila adesioni, un europarlamentare, un deputato, 106 consiglieri comunali, 72 circoscrizionali, 4 provinciali. Del gruppo dirigente fanno parte Giorgio Pisanò, che ben presto si distacca per rilanciare Fascismo e Libertà, e Tomaso Staiti di Cuddia. Tra gli aderenti l’unico deputato Modesto Della Rosa; l’ex comandante del controspionaggio Ambrogio Viviani e l’ex responsabile scuola del Msi, Silverio Bacci; Guido Mussolini, figlio di Vittorio; il principe Lilino Sforza Rispoli; uno dei fondatori di Lotta popolare, Romolo Sabatini (presidente del Comitato centrale); il sindaco di Chieti Nicola Cucculo e un gruppo della Cisnal metalmeccanici. Anche don Olindo del Donno, sacerdote ed ex deputato del Msi condanna la svolta e le tentazioni luciferine di Fini. Coordinate politiche: dialogo con tutti, nessuna alleanza organica. E le liste rautiane costeranno almeno due Regioni (Lazio e Molise) al Polo della libertà. Così un anno dopo i 49 collegi marginali vinti dall’Ulivo grazie al milione di voti strappati alla destra dalle liste della Fiamma nel Centro-sud (con alcune punte clamorose: il 12,8 per cento a Crotone, il 7,2 a Latina) saranno decisivi. Rauti può commentare soddisfatto: "Se Prodi è capo del governo lo deve a noi. … Mi misero alla porta come un cane, Fisichella — la testa d'uovo di Fini — aveva detto: “Dobbiamo scrivere delle regole che rendano il collo della bottiglia così stretto che nemmeno Rauti ci possa passare”. Me ne andai, con molta amarezza (...) Ora ne vedremo delle belle, dia retta a me, che di politica me ne intendo: valiamo almeno due milioni di voti e a quel Fini lì, uno che è sempre stato dietro una scrivania ma mai in mezzo alla gente, gli spezziamo la schiena (...) E se Fini ci offre un patto di desistenza, sul modello D'Alema-Bertinotti, non lo accetto. Non mi interessa fare la ruota di scorta. Ma loro sanno quanto possiamo pesare in un confronto elettorale. Le ricordo che a Roma, il candidato del Polo, Mancuso perse contro Veltroni perché il 4% dei romani votò mia figlia, Isabella".
Il programma della Fiamma miscela sapientemente cavalli di battaglia della destra (sul piano istituzionale: abolizione del Senato e dei privilegi parlamentari, repubblica presidenziale; sull’ordine pubblico: lotta alla microcriminalità , inasprimento e certezza delle pene, pugno di ferro con i pedofili) e della sinistra (sul terreno economico: partecipazione agli utili dei lavoratori, salario d’ingresso per i giovani; nella politica estera, antiamericana e filopalestinese). Proprio quando il partito sembra lanciato a coprire un ruolo crescente, grazie anche alla disponibilità dei fondi del finanziamento pubblico il tradizionale spirito di scissione della “fascisteria” lo precipita in una crisi rovinosa. Testimone privilegiato, dal suo lontano osservatorio di Agrigento, un vecchio quadro ordinovista, Antonino Amato: "Sul “Borghese”, abbiamo letto una intervista di Tomaso Staiti di Cuddia che denunciava le “molte manchevolezze” del Msft. Da quel momento è stato tutto un susseguirsi di notizie, lette sulla grossa stampa, che hanno demolito molte delle certezze che, arrancando, ci eravamo fatte di persona. (…) Tommaso Staiti di Cuddia e Adriano Tilgher (e altri) hanno “autoconvocato”, in quel di Roma, alcuni iscritti del Msft che, in una assemblea informale, hanno deciso di proporre: “l’abrogazione dello Statuto, l’azzeramento di tutte le cariche, con il conseguente scioglimento del Comitato centrale, la nomina di un organo dirigente collegiale provvisorio” (...) Domanda: le cose sono andate realmente così? Oppure qualcuno, profittando della buonafede di alcuni dei nostri, sta montando una manovra ai danni del Msft? Noi speriamo che le cose non stiano esattamente così. Temiamo però che, purtroppo, le cose siano andate in questi stessi termini. Parola più, parola meno. E allora i conti non ci tornano. (…) Ad esprimerci alla mia maniera io direi “vedo lupi”; ma, poiché conosco troppo poco le persone in questione, preferisco dire “vedo patrizi”. Dicendo “patrizi” intendo dire quel gruppo di persone che, a Chianciano, erano sul palco con un distacco perfino fisico dai delegati (…) [e] che, stando sul palco, hanno proposto tutte le cose che a Chianciano i delegati abbiamo votato ed applaudito. Compreso i “pieni poteri a Rauti”, compreso “la autoproclamazione del 50% dei membri del Comitato Centrale”. Chianciano è passata. Ora succede, a quanto pare, che i “patrizi” non vadano d’accordo. Succede, a quanto pare, che ad alcuni “patrizi” qualcosa vada “storto” e “stretto”. Unica soluzione, logica e dignitosa, è “prendere le distanze da Rauti” e aspettare il prossimo Congresso. Nel quale non ci saranno più “i pieni poteri a Rauti “, ma non ci sarà neppure che il 50% del Comitato Centrale si autoproclami. Altra soluzione non esiste".
La componente ribelle, il cui nucleo centrale è composto dagli ex avanguardisti transitati per la Lega nazionalpopolare, è espulsa a luglio e a settembre dà vita al Fronte nazionale. Il pugno di ferro rautiano si abbatte anche contro la componente giovanile che ha i numi tutelari negli esuli londinesi, Roberto Fiore e Massimo Morsello. Il divieto di diffondere il Foglio di lotta nelle sezioni innesta un’altra scissione, che mette capo negli stessi giorni a Forza nuova. Nel 1998 Rauti tenta la stretta organizzativa per resistere all’emorragia di quadri: ottiene dal comitato centrale i poteri disciplinari (fino all’espulsione), trasforma in quotidiano l’organo di partito Linea ma la soluzione societaria (con parte delle quote intestate alla moglie) susciterà un ulteriore scontro politico-giudiziario. Ma il dissenso nei confronti delle tendenze accentratrici resta esteso. Il coordinatore toscano, Nicola Silvestri, si dimette. L’ex federale romano e animatore della scuola quadri, Nicola Cospito, un intellettuale raffinato ma popolare nella base per l’ impegno militante, dà vita alla rivista Orientamenti.
(1-continua)
Dalla rifondazione alla prima ondata di epurazioni (1995-1997)
Quando, nel gennaio 1995, al congresso di Fiuggi, si compie il traghettamento nel salotto buono della politica italiana del Movimento sociale italiano rigenerato in Alleanza nazionale, i missini sono appena tornati all’opposizione, grazie al “tradimento” di Umberto Bossi. Ma il percorso politico è ormai tracciato. Gli unici a dare battaglia, in nome della continuità neofascista, sono due dirigenti caratterialmente agli antipodi: il raffinato intellettuale Pino Rauti e il tozzo attivista Teodoro “er Pecora” Buontempo, un mito per la “base” romana. Una battaglia a termine: perché il secondo non ha intenzione di togliere il disturbo mentre il primo organizza una scissione in cui non lo seguirà neanche il genero Gianni Alemanno. Alla fine solo 5 vecchi ordinovisti si iscrivono alla Fiamma tricolore. Molto si è scritto sulla funzionalità della sopravvivenza di una riserva indiana “neofascista” al disegno politico di Fini e al gruppo dirigente di Alleanza nazionale (una generazione cresciuta insieme, tutti nel Fronte della gioventù degli anni ‘70: dal leader a Storace, da Gasparri a La Russa, da Urso ad Alemanno). L’ultima a rilanciare – dieci anni dopo – la voce di un accordo sottobanco tra Rauti e Fini è Alessandra Mussolini, per poi ricondurre il suo neonato movimento nell’orbita strategica della Casa delle libertà.
La prima manifestazione neomissina, all’hotel Ergife, vede una partecipazione di massa. Aderiscono al partito le sezioni di Ostia e di Acca Larentia (con gli ex di Movimento Politico) e un consistente nucleo di Prati . Così come per Rifondazione comunista, intorno a una figura carismatica che invera la continuità della tradizione (lì Cossutta, qui Rauti) e piccoli nuclei di apparato, si aggregano centinaia di cani sciolti, di disillusi che avevano abbandonato la milizia negli orribili anni ’80. Ma è proprio il “grande vecchio” a mettere in guardia dai rischi del passatismo: "Purtroppo non conosco i giovani della Fiamma, non so perché indossino la camicia nera ma so che gli piace. Però avevo chiesto di non usarla, perché se le camicie verdi sono una buffonata le camicie nere sono una cosa seria, con una storia, un significato. E usarle come manifestazioni di nostalgismo non lo accetto granché. E non mi piace che il partito rischi di essere preso come una sorta di museo delle cere. E poi senta, folklore e camicie nere a parte, la cosa è molto semplice: abbiamo un'idea, sbagliata che sia è un'idea. E io personalmente ho una certezza: non ho lottato una vita per fare il servo di Berlusconi".
Ai primi di marzo Rauti presenta i suoi: 25mila adesioni, un europarlamentare, un deputato, 106 consiglieri comunali, 72 circoscrizionali, 4 provinciali. Del gruppo dirigente fanno parte Giorgio Pisanò, che ben presto si distacca per rilanciare Fascismo e Libertà, e Tomaso Staiti di Cuddia. Tra gli aderenti l’unico deputato Modesto Della Rosa; l’ex comandante del controspionaggio Ambrogio Viviani e l’ex responsabile scuola del Msi, Silverio Bacci; Guido Mussolini, figlio di Vittorio; il principe Lilino Sforza Rispoli; uno dei fondatori di Lotta popolare, Romolo Sabatini (presidente del Comitato centrale); il sindaco di Chieti Nicola Cucculo e un gruppo della Cisnal metalmeccanici. Anche don Olindo del Donno, sacerdote ed ex deputato del Msi condanna la svolta e le tentazioni luciferine di Fini. Coordinate politiche: dialogo con tutti, nessuna alleanza organica. E le liste rautiane costeranno almeno due Regioni (Lazio e Molise) al Polo della libertà. Così un anno dopo i 49 collegi marginali vinti dall’Ulivo grazie al milione di voti strappati alla destra dalle liste della Fiamma nel Centro-sud (con alcune punte clamorose: il 12,8 per cento a Crotone, il 7,2 a Latina) saranno decisivi. Rauti può commentare soddisfatto: "Se Prodi è capo del governo lo deve a noi. … Mi misero alla porta come un cane, Fisichella — la testa d'uovo di Fini — aveva detto: “Dobbiamo scrivere delle regole che rendano il collo della bottiglia così stretto che nemmeno Rauti ci possa passare”. Me ne andai, con molta amarezza (...) Ora ne vedremo delle belle, dia retta a me, che di politica me ne intendo: valiamo almeno due milioni di voti e a quel Fini lì, uno che è sempre stato dietro una scrivania ma mai in mezzo alla gente, gli spezziamo la schiena (...) E se Fini ci offre un patto di desistenza, sul modello D'Alema-Bertinotti, non lo accetto. Non mi interessa fare la ruota di scorta. Ma loro sanno quanto possiamo pesare in un confronto elettorale. Le ricordo che a Roma, il candidato del Polo, Mancuso perse contro Veltroni perché il 4% dei romani votò mia figlia, Isabella".
Il programma della Fiamma miscela sapientemente cavalli di battaglia della destra (sul piano istituzionale: abolizione del Senato e dei privilegi parlamentari, repubblica presidenziale; sull’ordine pubblico: lotta alla microcriminalità , inasprimento e certezza delle pene, pugno di ferro con i pedofili) e della sinistra (sul terreno economico: partecipazione agli utili dei lavoratori, salario d’ingresso per i giovani; nella politica estera, antiamericana e filopalestinese). Proprio quando il partito sembra lanciato a coprire un ruolo crescente, grazie anche alla disponibilità dei fondi del finanziamento pubblico il tradizionale spirito di scissione della “fascisteria” lo precipita in una crisi rovinosa. Testimone privilegiato, dal suo lontano osservatorio di Agrigento, un vecchio quadro ordinovista, Antonino Amato: "Sul “Borghese”, abbiamo letto una intervista di Tomaso Staiti di Cuddia che denunciava le “molte manchevolezze” del Msft. Da quel momento è stato tutto un susseguirsi di notizie, lette sulla grossa stampa, che hanno demolito molte delle certezze che, arrancando, ci eravamo fatte di persona. (…) Tommaso Staiti di Cuddia e Adriano Tilgher (e altri) hanno “autoconvocato”, in quel di Roma, alcuni iscritti del Msft che, in una assemblea informale, hanno deciso di proporre: “l’abrogazione dello Statuto, l’azzeramento di tutte le cariche, con il conseguente scioglimento del Comitato centrale, la nomina di un organo dirigente collegiale provvisorio” (...) Domanda: le cose sono andate realmente così? Oppure qualcuno, profittando della buonafede di alcuni dei nostri, sta montando una manovra ai danni del Msft? Noi speriamo che le cose non stiano esattamente così. Temiamo però che, purtroppo, le cose siano andate in questi stessi termini. Parola più, parola meno. E allora i conti non ci tornano. (…) Ad esprimerci alla mia maniera io direi “vedo lupi”; ma, poiché conosco troppo poco le persone in questione, preferisco dire “vedo patrizi”. Dicendo “patrizi” intendo dire quel gruppo di persone che, a Chianciano, erano sul palco con un distacco perfino fisico dai delegati (…) [e] che, stando sul palco, hanno proposto tutte le cose che a Chianciano i delegati abbiamo votato ed applaudito. Compreso i “pieni poteri a Rauti”, compreso “la autoproclamazione del 50% dei membri del Comitato Centrale”. Chianciano è passata. Ora succede, a quanto pare, che i “patrizi” non vadano d’accordo. Succede, a quanto pare, che ad alcuni “patrizi” qualcosa vada “storto” e “stretto”. Unica soluzione, logica e dignitosa, è “prendere le distanze da Rauti” e aspettare il prossimo Congresso. Nel quale non ci saranno più “i pieni poteri a Rauti “, ma non ci sarà neppure che il 50% del Comitato Centrale si autoproclami. Altra soluzione non esiste".
La componente ribelle, il cui nucleo centrale è composto dagli ex avanguardisti transitati per la Lega nazionalpopolare, è espulsa a luglio e a settembre dà vita al Fronte nazionale. Il pugno di ferro rautiano si abbatte anche contro la componente giovanile che ha i numi tutelari negli esuli londinesi, Roberto Fiore e Massimo Morsello. Il divieto di diffondere il Foglio di lotta nelle sezioni innesta un’altra scissione, che mette capo negli stessi giorni a Forza nuova. Nel 1998 Rauti tenta la stretta organizzativa per resistere all’emorragia di quadri: ottiene dal comitato centrale i poteri disciplinari (fino all’espulsione), trasforma in quotidiano l’organo di partito Linea ma la soluzione societaria (con parte delle quote intestate alla moglie) susciterà un ulteriore scontro politico-giudiziario. Ma il dissenso nei confronti delle tendenze accentratrici resta esteso. Il coordinatore toscano, Nicola Silvestri, si dimette. L’ex federale romano e animatore della scuola quadri, Nicola Cospito, un intellettuale raffinato ma popolare nella base per l’ impegno militante, dà vita alla rivista Orientamenti.
(1-continua)
.......Guardi Tassinari io come militante ed attivista della Fiamma Tricolore quegli anni me li ricordo benissimo tanto che pure io dopo un'entusiasmante passione politica del periodo 1996-1998 me ne andai dal partito proprio in quegli anni. Le devo pero' necessariamente fare alcune precisazioni: Paolo Signorelli non aderi' assolutamente alla fiamma Tricolore vuoi per diffidenze sue nei confronti di Pino Rauti vuoi per il fatto che Rauti non ne voleva sapere affatto di lui. La richiesta d'iscrizione di Maurizio Boccaci fu respinta in quanto il soggetto aveva una condanna passata in giudicato di quatro anni e tre mesi per fatti gravi avvenuti nel corso della partita Brescia- Roma in cui Boccacci fu ritenuto uno degli ispiratori, se non proprio il mandante diretto dell'accoltellamento del questore Selmin ( e su questa decisione Rauti non ebbe per me tutti i torti). Castellino legatissimo a Boccacci nemmeno lui partecipo' direttamente alla Fiamma tricolore sebbene si facesse vivo magari nel corso di qualche manifestazione. Di Iannone poi neanche l'ombra, aderi' alla Fiamma solo nel 2005 quando essa era gia' in presa dal geografo Luca Romagnoli. Aggiungo anche che la richiesta d'iscrizione di Sandro saccucci fu bloccata, Caradonna diede un apppoggio esterno e partecipava alle riunioni del Comitato centrale, ma preferi' NON farne parte direttamente anche perche' dichiaratamente massone e filoisraeliano oltre che atlantista dichiarato e le sue posizioni erano assolutamente se non TOTALMENTE incompatibile con la linea nazionalpopolare della FIAMMA DI ALLORA.
RispondiEliminaRauti poi proprio quando la Fiamma era in piena crescita con nuove adesioni di consiglieri provinciali persino deputati di An in arrivo, si chiuse a riccio in una gestione assolutamente familistica e personalistica del partito facendo in modo tale che tutte le decisioni in sostanza fossero prese da una ristrettissima cerchia di componenti il Comitato centrale tra cui oltre sua figlia Isabella ovviamente anche Bigliardo, il senatore Caruso e Marco Valle. Per la cronaca ricordiamo poi che subito il suo delfino fedele Roberto Bigliardo, insieme a Marco valle, lo tradi' per promuovere la scissione del MSE nl 2000 subito dopo essersi fatto leggere deputato europeo (...chiamatelo stupido!).il principe Lillio Sforza ruspoli pur autodichiaratosi un cattolico zapatista" ( nel senso Zapata quello messicano.... Non Zapatero!) non ci appoggio' affato ma preferi votare per Lmberto Dini in quel lontano 1996 e per quanto inviato al congresso di Chianciano del Novembre 1996 al quale ero presente fu sonoramente fischiato anche per questa del tutto inspiegabile scelta ( ma proprio per il massone latifondista, "il rospo" Lamberto Dini doveva votare??)
Rauti fu una delusione totale ma aveva un suo peso culturale e per almeno due anni imposto' il partito su una linea effetivamente nazionalpopolare-peronista e di quel periodo mi ricordo gli splendidi manifesti " CON NOI alternativa nazionalpopolare su uno sgargiante e futuristico sfondo giallo-arancione" e la linea politica dell'"oltre la destra e la sinistra" effetivamente praticata almeno sino al 1997. Romagnoli invece resta un conservatore asservito alle direttive del padroncino di Arcore e sostanzialmente un filoatlantico sebbene a , parole dica il contario.
Quanto a Puschiavo non vedo proprio come si possa predicare una linea di "lotta e nazionalpoplare" chiedendo i soliti "accordi di desistenza" o liste alleate al centro-destra liberista
Trovo nello spam e pubblico un intervento utile e ricco di notizie di Agostino ......Guardi Tassinari io come militante ed attivista della Fiamma Tricolore quegli anni me li ricordo benissimo tanto che pure io dopo un'entusiasmante passione politica del periodo 1996-1998 me ne andai dal partito proprio in quegli anni. Le devo pero' necessariamente fare alcune precisazioni: Paolo Signorelli non aderi' assolutamente alla fiamma Tricolore vuoi per diffidenze sue nei confronti di Pino Rauti vuoi per il fatto che Rauti non ne voleva sapere affatto di lui. La richiesta d'iscrizione di Maurizio Boccaci fu respinta in quanto il soggetto aveva una condanna passata in giudicato di quatro anni e tre mesi per fatti gravi avvenuti nel corso della partita Brescia- Roma in cui Boccacci fu ritenuto uno degli ispiratori, se non proprio il mandante diretto dell'accoltellamento del questore Selmin ( e su questa decisione Rauti non ebbe per me tutti i torti). Castellino legatissimo a Boccacci nemmeno lui partecipo' direttamente alla Fiamma tricolore sebbene si facesse vivo magari nel corso di qualche manifestazione. Di Iannone poi neanche l'ombra, aderi' alla Fiamma solo nel 2005 quando essa era gia' in presa dal geografo Luca Romagnoli. Aggiungo anche che la richiesta d'iscrizione di Sandro saccucci fu bloccata, Caradonna diede un apppoggio esterno e partecipava alle riunioni del Comitato centrale, ma preferi' NON farne parte direttamente anche perche' dichiaratamente massone e filoisraeliano oltre che atlantista dichiarato e le sue posizioni erano assolutamente se non TOTALMENTE incompatibile con la linea nazionalpopolare della FIAMMA DI ALLORA. Rauti poi proprio quando la Fiamma era in piena crescita con nuove adesioni di consiglieri provinciali persino deputati di An in arrivo, si chiuse a riccio in una gestione assolutamente familistica e personalistica del partito facendo in modo tale che tutte le decisioni in sostanza fossero prese da una ristrettissima cerchia di componenti il Comitato centrale tra cui oltre sua figlia Isabella ovviamente anche Bigliardo, il senatore Caruso e Marco Valle. Per la cronaca ricordiamo poi che subito il suo delfino fedele Roberto Bigliardo, insieme a Marco valle, lo tradi' per promuovere la scissione del MSE nl 2000 subito dopo essersi fatto leggere deputato europeo (...chiamatelo stupido!).il principe Lillio Sforza ruspoli pur autodichiaratosi un cattolico zapatista" ( nel senso Zapata quello messicano.... Non Zapatero!) non ci appoggio' affato ma preferi votare per Lmberto Dini in quel lontano 1996 e per quanto inviato al congresso di Chianciano del Novembre 1996 al quale ero presente fu sonoramente fischiato anche per questa del tutto inspiegabile scelta ( ma proprio per il massone latifondista, "il rospo" Lamberto Dini doveva votare??) Rauti fu una delusione totale ma aveva un suo peso culturale e per almeno due anni imposto' il partito su una linea effetivamente nazionalpopolare-peronista e di quel periodo mi ricordo gli splendidi manifesti " CON NOI alternativa nazionalpopolare su uno sgargiante e futuristico sfondo giallo-arancione" e la linea politica dell'"oltre la destra e la sinistra" effetivamente praticata almeno sino al 1997. Romagnoli invece resta un conservatore asservito alle direttive del padroncino di Arcore e sostanzialmente un filoatlantico sebbene a , parole dica il contario. Quanto a Puschiavo non vedo proprio come si possa predicare una linea di "lotta e nazionalpoplare" chiedendo i soliti "accordi di desistenza" o liste alleate al centro-destra liberista
RispondiElimina