Contestatori? No, soldati (virtuali) del bene
C'è attesa per quel che dirà oggi Fini, anche se, come ha brillantemente suggerito Diamanti su la Repubblica, all'eterno delfino conviene una tattica zen per disinnescare la ricerca del pretesto della rottura da parte di Berlusconi. Restare immobile e aspettare che l'avversario, innervosito dall'avvicinarsi delle scadenze giudiziarie e dagli intoppi imposti alla macchineria legislativa antiprocessuale, riprenda a scalciare.
Le sue truppe scelte, Generazione Italia, hanno fatto sapere ieri di aver scongiurato, grazie a una soffiata, un secondo preparativo di contestazione. E quindi su questo fronte dovrebbe essere escluso il bis di Torino (anche se io non sottovaluterei i rischi che corre Maroni, oggi di scena nella stessa città per la festa nazionale della Lega, contro gli ultras due volte avvelenati: per la tessera del tifoso ma anche per le pessime partenze in campionato e tre sconfitte su tre).
Ma ci hanno pensato i pasdaran giustizialisti a rilanciare nel weekend il dibattito sul tema del diritto al dissenso e alle sue modalità di espressione. A onor del vero, ieri sera sono rimasto un po' in imbarazzo per la difficile quadratura del cerchio sul caso "squadristi a Torino". E non sono stato il solo se un ispiratore del "popolo viola", come Alessandro Gilioli, nel prendere le distanze dalla contestazione sul blog Piovono rane, ha rievocato lo straziante De André di "Ci son riusciti a cambiare, ci son riusciti, lo sai". Sono notoriamente un feroce avversario di girotondini e forcaioli di qualsiasi ordine e specie e al tempo stesso un deciso difensore del diritto di parola (e di fischio) per tutti e per ciascuno, anche per le minoranze schiacciate. E quindi sono rimasto un po' frastornato tra due principi confliggenti. Poi, per fortuna, è venuto stamattina Vittorio Zambardino a "spiegarmi quello che penso" (ma senza che io gli preparassi il caffé...).
A partire da una riflessione a lui consona "sull'uso distorto della rete" ha analizzato in maniera impeccabile i danni prodotti dall'applicazione dei dispositivi della guerra giusta alla politica e della confusione tra piano dell'attività giudiziaria e conflitto politico. E quindi ve la ripropongo nel suo passaggio centrale:
Le sue truppe scelte, Generazione Italia, hanno fatto sapere ieri di aver scongiurato, grazie a una soffiata, un secondo preparativo di contestazione. E quindi su questo fronte dovrebbe essere escluso il bis di Torino (anche se io non sottovaluterei i rischi che corre Maroni, oggi di scena nella stessa città per la festa nazionale della Lega, contro gli ultras due volte avvelenati: per la tessera del tifoso ma anche per le pessime partenze in campionato e tre sconfitte su tre).
Ma ci hanno pensato i pasdaran giustizialisti a rilanciare nel weekend il dibattito sul tema del diritto al dissenso e alle sue modalità di espressione. A onor del vero, ieri sera sono rimasto un po' in imbarazzo per la difficile quadratura del cerchio sul caso "squadristi a Torino". E non sono stato il solo se un ispiratore del "popolo viola", come Alessandro Gilioli, nel prendere le distanze dalla contestazione sul blog Piovono rane, ha rievocato lo straziante De André di "Ci son riusciti a cambiare, ci son riusciti, lo sai". Sono notoriamente un feroce avversario di girotondini e forcaioli di qualsiasi ordine e specie e al tempo stesso un deciso difensore del diritto di parola (e di fischio) per tutti e per ciascuno, anche per le minoranze schiacciate. E quindi sono rimasto un po' frastornato tra due principi confliggenti. Poi, per fortuna, è venuto stamattina Vittorio Zambardino a "spiegarmi quello che penso" (ma senza che io gli preparassi il caffé...).
A partire da una riflessione a lui consona "sull'uso distorto della rete" ha analizzato in maniera impeccabile i danni prodotti dall'applicazione dei dispositivi della guerra giusta alla politica e della confusione tra piano dell'attività giudiziaria e conflitto politico. E quindi ve la ripropongo nel suo passaggio centrale:
dietro il monitor e la tastiera le persone vengono fatte vivere in un perenne clima di stato d’assedio e di mobilitazione contro il peggio, in una mobilitazione virtuale, autoerotica, che vive una guerra di fantasia con l’avversario. C’è in questo una specificità della rete: se è vero che è una vita sullo schermo, com’è stato scritto, se è vero che è un altro modo nostro di essere, è altrettanto vero che i meccanismi classici della proiezione e della mostrificazione del nemico qui trovano la loro massima esaltazione. Non stanno leggendo, stanno combattendo. Che è come parlare di “comunisti”, di fine della proprietà e di scelta di campo, certo.
E’ del tutto naturale che dall’altra parte ci siano le stesse campagne contro l’avversario di turno, che sia Fini o Marrazzo. I due eserciti si combattono con la fantasia, che se fosse calore ci avrebbe già inceneriti tutti. Ma c’è da chiedersi non cosa ma quanto manchi al “passaggio all’atto” da parte di questi due eserciti in tutto e per tutto uguali.
Il testo completo è su Scene digitali
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