Antonio Parlato e la superiore intelligenza della Rete
Due mesi fa moriva a Napoli Antonio Parlato, leader intellettuale e politico della destra tradizionalista. Per l'occasione, dopo aver pubblicato un pezzo di un "giovane" collaboratore del blog avevo chiesto al professore Piero Vassallo, che a Parlato è stato legato da un antico sodalizio, un più adeguato omaggio alla memoria. Pezzo tempestivamente inviato (il 24 luglio) ma misteriosamente pervenuto giusto oggi, che si è svolto al Maschio Angioino il convegno sul suo pensiero politico, iniziativa promossa dalla figlia Lucilla. La superiore intelligenza della Rete. Lo pubblico con grande piacere
In memoria di Antonio Parlato di Piero Vassallo
Il 21 luglio si è spento a Napoli Antonio Parlato. Brillante avvocato marittimista del foro napoletano ed esponente di prima fila della migliore destra italiana negli anni dell'emarginazione, Antonio Parlato, è stato protagonista, insieme con Giano Accame e Sergio Pessot, d'una fra le più brillanti e significative imprese della pubblicistica di destra: la contestazione dei poteri forti, riuniti alla chetichella sullo yacht Britannia (di proprietà della casa reale inglese) per organizzare la svendita di alcune importanti industrie italiane. A vantaggio esclusivo di spregiudicati speculatori.
Nel 1994 Parlato è stato sottosegretario di Stato al Bilancio quindi dopo l'emarginazione voluta da Fini, presidente della Consulta per il Mezzogiorno di A.N.
Prestigioso studioso di economia, è stato autore di un migliaio di articoli apparsi su quotidiani e riviste di area. Inserito autorevolmente nel filone di quella cultura meridionale, che, per merito di Croce e Gentile, è riuscita a coniugare lo studio dell’economia con l’approfondimento della filosofia e con l’erudizione storica, Parlato ha condotto importanti ricerche sulla politica attuata in Italia da Federico II e di Corradino. (Cfr. ad esempio “Corradino di Svevia, l’ultimo ghibellino”, Mario Adda Editore, Bari 2002).
Per apprezzare la qualità degli scritti storici di Parlato occorre rammentare che, nell’introduzione alla “Storia del Regno di Napoli”, Benedetto Croce confessa di aver scoperto la grandezza dell’antico Regno di Napoli grazie alla lettura di un saggio del giurista cattolico Enrico Cenni: “Il vecchio regno di Napoli mi si trasfigurò innanzi agli occhi della mente non solo in uno degli stati più importanti della vecchia Europa, ma in tale che aveva sempre tenuto, nell’avanzamento sociale, il primato o almeno uno dei primi posti. Sorse esso, infatti, nuovo e singolare esempio nella semibarbarica Europa, come monarchia civile, fondata da Ruggiero, conservata e rassodata dai successori, innalzata al sommo fastigio dalla gloria di Federico Svevo: uno stato moderno, in cui il baronaggio era contenuto in ristretti confini, ai popoli si garantiva libertà e giustizia, la mente del sovrano, rischiarata da nobili concetti morali e politici, regolava il tutto”.
Per maturare un così impegnativo apprezzamento del primato civile napoletano, Croce, oltre che alla lettura dei ponderosi saggi giuridici del Cenni, era passato attraverso lo studio della “Scienza Nuova”, che Vico aveva dedicato a Napoli e alla politica italiana nata dall’incontro della cultura germanica con la cultura cattolica e romana.
Nella “Scienza Nuova”, infatti, si legge l’esaltazione della monarchia civile, costruzione esemplare ed eredità del medioevo latino-germanico, che costituiva l’orgoglio dell’Italia premoderna: “Dappertutto l’Europa cristiana sfolgora di tanta umanità che vi si abbonda di tutti i beni che possono felicitare l’umana vita, non meno per gli agi del corpo che per gli piaceri così della mente come dell’animo”.
Ora la monarchia civile, che fu concepita e attuata nel Mezzogiorno d’Italia, discende dalla corretta interpretazione del cesarismo, considerato come provvidenziale strumento della trasformazione dei regimi oligarchici in popolari, dunque come preambolo all’umanizzazione della società.
Secondo Vico, infatti, la divina Provvidenza ha disposto che dal popolo “uno come Augusto vi surga e vi si stabilisca monarca, il quale, poiché tutti gli ordini e tutte le leggi ritruovate per la libertà punto non più valsero a regolarla e a tenerlavi dentro in freno, egli abbia in sua mano tutti gli ordini e tutte le leggi”).
A differenza di Oswald Spengler (e di Julius Evola), Vico aveva compreso la funzione altamente civilizzatrice del cesarismo e perciò era diventato capace di valutare la nobiltà del modello politico rappresentato dall’antico Regno di Napoli.
Alimentata da una profonda e seria cultura giuridica e da un preciso istinto storiografico, l’opera di Parlato seguì le linee della filosofia vichiana e delle migliori intuizioni crociane: evidenziò il valore ingente del contributo della casa sveva alla formazione di una tradizione storica e di una scienza politica che costituisce uno dei possibili modelli alternativi al secolarismo moderno.
Ora la scienza politica che, prima di essere codificata da Vico, s’incarnò nel Regno di Napoli, regno che durante il medioevo fu sostenuto dal braccio secolare svevo, in seguito dalla potenza ispanica; era la sintesi della teologia cattolica e della giurisprudenza romana.
Parlato ha militato nella più vivace scuola neoghibellina, il suo punto di vista è stato quello di una ragionata contestazione del potere temporale dei papi.
Non c’è dubbio (e Francisco Elias de Tejada lo ha più volte affermato criticando il “vaticanismo”) che la Chiesa romana non fu sempre indenne da ambizioni profane e da esorbitanti escursioni nella sfera della politica.
Il Pastor ha peraltro rammentato la quota di responsabilità e di colpe vaticane nella devastazione della cultura medievale (devastazione di cui fu simbolo lo sconsiderato abbattimento della basilica costantiniana) e nell’instaurazione della superstizione rinascimentale.
Giudizio che non è abbattuto da Ennio Innocenti, il quale ha dimostrato, nel suo monumentale lavoro sul potere temporale dei papi, che fu l’impulso necessitante della storia a causare l’intervento ecclesiastico inteso a surrogare la pubblica amministrazione latente.
Di là della prospettiva ghibellina, l’opera di Parlato è un indispensabile strumento per la conoscenza della storia del Medioevo svevo in Italia. Opera che si raccomanda per la vastità della documentazione, per l’acutezza delle note giuridiche e per lo stile sciolto e gradevole. Non a caso, Antonio Parlato fu stimato dagli interpreti (Francisco Elias de Tejada e Vitale) del tradizionalismo guelfo quale testimone del valore di una destra protagonista "alta" del dibattito intorno alla scienza politica.
In memoria di Antonio Parlato di Piero Vassallo
Il 21 luglio si è spento a Napoli Antonio Parlato. Brillante avvocato marittimista del foro napoletano ed esponente di prima fila della migliore destra italiana negli anni dell'emarginazione, Antonio Parlato, è stato protagonista, insieme con Giano Accame e Sergio Pessot, d'una fra le più brillanti e significative imprese della pubblicistica di destra: la contestazione dei poteri forti, riuniti alla chetichella sullo yacht Britannia (di proprietà della casa reale inglese) per organizzare la svendita di alcune importanti industrie italiane. A vantaggio esclusivo di spregiudicati speculatori.
Nel 1994 Parlato è stato sottosegretario di Stato al Bilancio quindi dopo l'emarginazione voluta da Fini, presidente della Consulta per il Mezzogiorno di A.N.
Prestigioso studioso di economia, è stato autore di un migliaio di articoli apparsi su quotidiani e riviste di area. Inserito autorevolmente nel filone di quella cultura meridionale, che, per merito di Croce e Gentile, è riuscita a coniugare lo studio dell’economia con l’approfondimento della filosofia e con l’erudizione storica, Parlato ha condotto importanti ricerche sulla politica attuata in Italia da Federico II e di Corradino. (Cfr. ad esempio “Corradino di Svevia, l’ultimo ghibellino”, Mario Adda Editore, Bari 2002).
Per apprezzare la qualità degli scritti storici di Parlato occorre rammentare che, nell’introduzione alla “Storia del Regno di Napoli”, Benedetto Croce confessa di aver scoperto la grandezza dell’antico Regno di Napoli grazie alla lettura di un saggio del giurista cattolico Enrico Cenni: “Il vecchio regno di Napoli mi si trasfigurò innanzi agli occhi della mente non solo in uno degli stati più importanti della vecchia Europa, ma in tale che aveva sempre tenuto, nell’avanzamento sociale, il primato o almeno uno dei primi posti. Sorse esso, infatti, nuovo e singolare esempio nella semibarbarica Europa, come monarchia civile, fondata da Ruggiero, conservata e rassodata dai successori, innalzata al sommo fastigio dalla gloria di Federico Svevo: uno stato moderno, in cui il baronaggio era contenuto in ristretti confini, ai popoli si garantiva libertà e giustizia, la mente del sovrano, rischiarata da nobili concetti morali e politici, regolava il tutto”.
Per maturare un così impegnativo apprezzamento del primato civile napoletano, Croce, oltre che alla lettura dei ponderosi saggi giuridici del Cenni, era passato attraverso lo studio della “Scienza Nuova”, che Vico aveva dedicato a Napoli e alla politica italiana nata dall’incontro della cultura germanica con la cultura cattolica e romana.
Nella “Scienza Nuova”, infatti, si legge l’esaltazione della monarchia civile, costruzione esemplare ed eredità del medioevo latino-germanico, che costituiva l’orgoglio dell’Italia premoderna: “Dappertutto l’Europa cristiana sfolgora di tanta umanità che vi si abbonda di tutti i beni che possono felicitare l’umana vita, non meno per gli agi del corpo che per gli piaceri così della mente come dell’animo”.
Ora la monarchia civile, che fu concepita e attuata nel Mezzogiorno d’Italia, discende dalla corretta interpretazione del cesarismo, considerato come provvidenziale strumento della trasformazione dei regimi oligarchici in popolari, dunque come preambolo all’umanizzazione della società.
Secondo Vico, infatti, la divina Provvidenza ha disposto che dal popolo “uno come Augusto vi surga e vi si stabilisca monarca, il quale, poiché tutti gli ordini e tutte le leggi ritruovate per la libertà punto non più valsero a regolarla e a tenerlavi dentro in freno, egli abbia in sua mano tutti gli ordini e tutte le leggi”).
A differenza di Oswald Spengler (e di Julius Evola), Vico aveva compreso la funzione altamente civilizzatrice del cesarismo e perciò era diventato capace di valutare la nobiltà del modello politico rappresentato dall’antico Regno di Napoli.
Alimentata da una profonda e seria cultura giuridica e da un preciso istinto storiografico, l’opera di Parlato seguì le linee della filosofia vichiana e delle migliori intuizioni crociane: evidenziò il valore ingente del contributo della casa sveva alla formazione di una tradizione storica e di una scienza politica che costituisce uno dei possibili modelli alternativi al secolarismo moderno.
Ora la scienza politica che, prima di essere codificata da Vico, s’incarnò nel Regno di Napoli, regno che durante il medioevo fu sostenuto dal braccio secolare svevo, in seguito dalla potenza ispanica; era la sintesi della teologia cattolica e della giurisprudenza romana.
Parlato ha militato nella più vivace scuola neoghibellina, il suo punto di vista è stato quello di una ragionata contestazione del potere temporale dei papi.
Non c’è dubbio (e Francisco Elias de Tejada lo ha più volte affermato criticando il “vaticanismo”) che la Chiesa romana non fu sempre indenne da ambizioni profane e da esorbitanti escursioni nella sfera della politica.
Il Pastor ha peraltro rammentato la quota di responsabilità e di colpe vaticane nella devastazione della cultura medievale (devastazione di cui fu simbolo lo sconsiderato abbattimento della basilica costantiniana) e nell’instaurazione della superstizione rinascimentale.
Giudizio che non è abbattuto da Ennio Innocenti, il quale ha dimostrato, nel suo monumentale lavoro sul potere temporale dei papi, che fu l’impulso necessitante della storia a causare l’intervento ecclesiastico inteso a surrogare la pubblica amministrazione latente.
Di là della prospettiva ghibellina, l’opera di Parlato è un indispensabile strumento per la conoscenza della storia del Medioevo svevo in Italia. Opera che si raccomanda per la vastità della documentazione, per l’acutezza delle note giuridiche e per lo stile sciolto e gradevole. Non a caso, Antonio Parlato fu stimato dagli interpreti (Francisco Elias de Tejada e Vitale) del tradizionalismo guelfo quale testimone del valore di una destra protagonista "alta" del dibattito intorno alla scienza politica.
...more solito, il professore è puntuale oltre che profondo...; Antonio Parlato è stato ricordato non senza commozione; ma, Piero, io sono attaccato a Spengler e Vico mi aiuta a sperare nel cambiamento e Evola mi sostiene nel frattempo...; lo so, è un melting pot cultural-esistenziale, ma è la mia via...
RispondiEliminaciao
Puccio
Non sapevo che fosse deceduto ...
RispondiEliminaLo ricordo a Campo Hobbit III con barba bianca e capelli folti, come un vechhio Hippy in mezzo a tutti noi, ed era già deputato ... il gran capo "Rauti" è arrivato molto dopo, quasi alla fine della festa, per non indispettire Almirante, e come al solito ben scortato e defilato.
La natura degli Uomini non inganna mai.
Napoli è stato un laboratorio a cielo aperto per tutte "le Eresie" e per piu' di una scuola di pensiero, scuole spesso in contraddizione tra loro.
Lo sanno bene coloro che si sentono tra quelle strade disordinate e vocianti, "figli ibridi" contemporaneamente del Cardinal Ruffo e di Vincenzo Cuoco ...
Nonostante Rauti, tra i Rautiani c'è stata gente degna ed "onorevole" .
E quindi "gli" va reso onore ...