9 settembre 1980: l'omicidio di "Ciccio" Mangiameli/2
Questa è la prima parte della ricostruzione dell'omicidio di Ciccio Mangiameli, il leader di Terza posizione ucciso dai fratelli Fioravanti 30 anni fa, nel libro "Guerrieri. 1975-1982 Storie di una generazione in nero" (Immaginapoli, 2005). Essendo il volume dedicato allo specifico della lotta armata di destra la vicenda è molto più approfondita e quindi ho diviso ulteriormente il testo in due parti.
La banda Fioravanti ha messo in cantiere una campagna di decimazione ma mentre l’indecisione di Cavallini (che ha obblighi di riconoscenza verso la vittima designata) permette a Fachini di scampare (a duro prezzo: il 4 settembre è arrestato e si farà 9 anni di carcerazione preventiva prima di vedersi assolto da tutte le accuse più gravi), “Ciccio” Mangiameli finisce ammazzato in uno degli “omicidi più violenti e desolanti della storia dei Nar” (Baldoni-Provvisionato 2003: 272).
Quando la mattina del 9 settembre Cristiano Fioravanti e Dario Mariani lo intercettano e lo invitano a un rendez vous con Valerio, il professore siciliano saluta la moglie e l’amico che l’accompagna, Alberto Volo, una figura ambigua, mezzo mitomane, mezzo impicciato con l’area grigia di confine tra servizi segreti e consorterie massoniche e si consegna ignaro ai suoi carnefici. Salendo a bordo delle vettura guidata da Cristiano non si accorge della Golf diesel che li segue fino alla pineta di Castelfusaro. Solo all’arrivo si rende conto di essere caduto in trappola. Cristiano consegna una pistola a Mariani e riceve dal fratello una 7.65 silenziata. “Ciccio” è sospinto con la pistola alla schiena da Cristiano, seguito da Vale per 4-5 metri. Lo scambio di battute tra la vittima designata e Valerio è raggelante:
- Mi volete uccidere?
- Hai finito di rubare.
“Ciccio” non fa a tempo a replicare che restituirà i soldi. Cristiano tira il primo colpo all' altezza dell' orecchio e svita il silenziatore. Poiché il cuore batte ancora Valerio lo applica e spara un colpo. Poi si rivolge a Vale: “Vediamo se riesci finalmente a uccidere qualcuno”. E quest’ultimo spara un terzo colpo alla testa. Sopraggiungono Mariani e la Mambro. Il cadavere è occultato in un cespuglio con due sacchi di plastica. Cristiano rientra a Roma con Mariani e va a pranzo da Sparti e giustifica le piccole macchie di sangue con una lite stradale. Gli altri tre provvedono a occultare il cadavere, piombato con 15 chili di pesi e gettato in slip nel laghetto di Tor de’ Cenci. Avrebbero dovuto eviscerarlo per evitare che torni a galla ma i tre sono degli assassini, non dei boia. Per i giudici “l'omicidio chiaramente venne effettuato per restare segreto, negli autori e nelle motivazioni, a dimostrazione di ragioni irriferibili ed inconfessabili”.
Il commando si ricompone in serata per un macabro banchetto funebre. Il giorno dopo la signora Mangiameli si reca a Roma, incrocia casualmente Vale e Cristiano che la portano da Marcello De Angelis che a sua volta l'accompagna da Fiore. La donna disperata chiede notizie del marito. Meno di 24 ore dopo il cadavere riaffiora: le sue domande hanno la più atroce delle risposte. Nella prima fase delle indagini è arrestato il suo amico Volo, al quale sarà poi attribuita una falsa autodenuncia per la strage di Bologna allo scopo di procurarsi un formidabile alibi, mentre ordini di cattura colpiscono Roberto Incardona, n. 2 di Tp in Sicilia, e Walter Spedicato (il grande vecchio del gruppo: ha 33 anni). Ai funerali, dieci giorni dopo il delitto, partecipano molti camerati, con una corona di Tp, qualche missino, un onorevole. In un volantino dell’organizzazione è scritto: “la mano del potere striscia sulla gola ma l' aristocrazia combatte anche da sola...Hanno fermato la sua marcia verso l’assoluto, lo hanno ucciso perché non lo potevano comprare”. [la prima frase è un verso dell’inno di Tp, ndb]
Sarà Francesca a offrire ai giudici il più organico tentativo di ricostruire dinamica e retroscena del delitto, un “regolamento di conti politico”: al chiarimento si era arrivati mentre loro erano a Roma per preparare l' esproprio dei Fal che servivano per liberare Concutelli. Lei si dichiara estranea e riconosce di aver partecipato solo all' occultamento, perché non poteva rimanere così e poi c’erano altre faccende da vedere: "Tre lo avevano cercato per chiarire. Tizio [Valerio] voleva discutere ancora, Caio [Cristiano] aveva sparato perché non ha rispetto per la vita umana e non ci pensa due volte a sparare e Sempronio [Vale] a una certa distanza controllava la zona".
In realtà nel corso dei diversi processi Valerio, che aveva voluto la eliminazione del Mangiameli, e la sua compagna hanno dato giustificazioni del delitto che nel tempo sono variate, ovvero si sono sommate tra loro. Così gli hanno addebitato di essersi dimostrato un codardo e un inetto nelle imprese organizzate per rapinare le armi necessarie per l’evasione; di essere pericoloso perché in grado di rivelare il progetto di fuga; di essersi appropriato di denaro del movimento; di essersi fatto dare due volte i soldi per acquistare armi o per pagare la caparra dell'appartamento di Gandoli; di avere strumentalizzato i giovani di Tp; di avere espresso giudizi sprezzanti su Vale per il solo fatto che era mulatto. Essi hanno anche sostenuto di avere voluto impedire che Mangiameli, che aveva mostrato bassissime qualità morali, raccogliesse la guida di Tp dopo la fuga di Fiore e di Adinolfi. Quest’ultimo addebito è falso: i due leader sono in latitanza operativa e decidono di fuggire all’estero solo dopo il successivo blitz del 23 settembre, che decima l’organizzazione.
In dibattimento Valerio conferma la ricostruzione del fratello ma occulta il ruolo di Mariani nel far cadere in trappola Mangiameli. Andava fermato – spiega – perché stava per assumere con Fiore e Adinolfi la direzione politica di molti giovani del movimento. Ma liquidandolo c’era il rischio che il suo entourage rivelasse l’operazione Concutelli per cui andavano eliminati tutti. Il rinvenimento del cadavere bloccò la caccia agli altri due leader di Tp. La partecipazione di Mariani è ricondotta dai giudici alla spaccatura interna a Tp dopo la strage,tra dirigenti preoccupati della propria libertà e falchi. Mariani avrebbe condiviso la voglia di far pulizia di Valerio e Vale essendo indignato con i leader, accusati di aver abbandonano il campo nel momento in cui occorreva difendere i ragazzini delle gravissime accuse lanciate dopo Bologna. Il suo ruolo fu decisivo per il successo dell’imboscata: la sua presenza di militante di Tp trasse in inganno Mangiameli. Soltanto un anno dopo, nel volantino di rivendicazione che conclude la campagna contro “coloro che colpiscono ai fianchi e pugnalano alle spalle”, Francesca liquida Mangiameli come “squallido profittatore, degno compare di quel Fiore e di quell’Adinolfi, rappresentanti naturali della vigliaccheria cronica. Non c'è spazio tra noi per gli scribacchini della Rivoluzione, incantatori di animi in buona fede: la mano della giustizia attende anche loro! Non faida quindi ma giustizia rivoluzionaria (...) Non abbiamo né poteri da inseguire né masse da educare, per noi quello che conta è rispettare la nostra etica per la quale i nemici si uccidono e i traditori si annientano!”.
(2 - continua)
La banda Fioravanti ha messo in cantiere una campagna di decimazione ma mentre l’indecisione di Cavallini (che ha obblighi di riconoscenza verso la vittima designata) permette a Fachini di scampare (a duro prezzo: il 4 settembre è arrestato e si farà 9 anni di carcerazione preventiva prima di vedersi assolto da tutte le accuse più gravi), “Ciccio” Mangiameli finisce ammazzato in uno degli “omicidi più violenti e desolanti della storia dei Nar” (Baldoni-Provvisionato 2003: 272).
Quando la mattina del 9 settembre Cristiano Fioravanti e Dario Mariani lo intercettano e lo invitano a un rendez vous con Valerio, il professore siciliano saluta la moglie e l’amico che l’accompagna, Alberto Volo, una figura ambigua, mezzo mitomane, mezzo impicciato con l’area grigia di confine tra servizi segreti e consorterie massoniche e si consegna ignaro ai suoi carnefici. Salendo a bordo delle vettura guidata da Cristiano non si accorge della Golf diesel che li segue fino alla pineta di Castelfusaro. Solo all’arrivo si rende conto di essere caduto in trappola. Cristiano consegna una pistola a Mariani e riceve dal fratello una 7.65 silenziata. “Ciccio” è sospinto con la pistola alla schiena da Cristiano, seguito da Vale per 4-5 metri. Lo scambio di battute tra la vittima designata e Valerio è raggelante:
- Mi volete uccidere?
- Hai finito di rubare.
“Ciccio” non fa a tempo a replicare che restituirà i soldi. Cristiano tira il primo colpo all' altezza dell' orecchio e svita il silenziatore. Poiché il cuore batte ancora Valerio lo applica e spara un colpo. Poi si rivolge a Vale: “Vediamo se riesci finalmente a uccidere qualcuno”. E quest’ultimo spara un terzo colpo alla testa. Sopraggiungono Mariani e la Mambro. Il cadavere è occultato in un cespuglio con due sacchi di plastica. Cristiano rientra a Roma con Mariani e va a pranzo da Sparti e giustifica le piccole macchie di sangue con una lite stradale. Gli altri tre provvedono a occultare il cadavere, piombato con 15 chili di pesi e gettato in slip nel laghetto di Tor de’ Cenci. Avrebbero dovuto eviscerarlo per evitare che torni a galla ma i tre sono degli assassini, non dei boia. Per i giudici “l'omicidio chiaramente venne effettuato per restare segreto, negli autori e nelle motivazioni, a dimostrazione di ragioni irriferibili ed inconfessabili”.
Il commando si ricompone in serata per un macabro banchetto funebre. Il giorno dopo la signora Mangiameli si reca a Roma, incrocia casualmente Vale e Cristiano che la portano da Marcello De Angelis che a sua volta l'accompagna da Fiore. La donna disperata chiede notizie del marito. Meno di 24 ore dopo il cadavere riaffiora: le sue domande hanno la più atroce delle risposte. Nella prima fase delle indagini è arrestato il suo amico Volo, al quale sarà poi attribuita una falsa autodenuncia per la strage di Bologna allo scopo di procurarsi un formidabile alibi, mentre ordini di cattura colpiscono Roberto Incardona, n. 2 di Tp in Sicilia, e Walter Spedicato (il grande vecchio del gruppo: ha 33 anni). Ai funerali, dieci giorni dopo il delitto, partecipano molti camerati, con una corona di Tp, qualche missino, un onorevole. In un volantino dell’organizzazione è scritto: “la mano del potere striscia sulla gola ma l' aristocrazia combatte anche da sola...Hanno fermato la sua marcia verso l’assoluto, lo hanno ucciso perché non lo potevano comprare”. [la prima frase è un verso dell’inno di Tp, ndb]
Sarà Francesca a offrire ai giudici il più organico tentativo di ricostruire dinamica e retroscena del delitto, un “regolamento di conti politico”: al chiarimento si era arrivati mentre loro erano a Roma per preparare l' esproprio dei Fal che servivano per liberare Concutelli. Lei si dichiara estranea e riconosce di aver partecipato solo all' occultamento, perché non poteva rimanere così e poi c’erano altre faccende da vedere: "Tre lo avevano cercato per chiarire. Tizio [Valerio] voleva discutere ancora, Caio [Cristiano] aveva sparato perché non ha rispetto per la vita umana e non ci pensa due volte a sparare e Sempronio [Vale] a una certa distanza controllava la zona".
In realtà nel corso dei diversi processi Valerio, che aveva voluto la eliminazione del Mangiameli, e la sua compagna hanno dato giustificazioni del delitto che nel tempo sono variate, ovvero si sono sommate tra loro. Così gli hanno addebitato di essersi dimostrato un codardo e un inetto nelle imprese organizzate per rapinare le armi necessarie per l’evasione; di essere pericoloso perché in grado di rivelare il progetto di fuga; di essersi appropriato di denaro del movimento; di essersi fatto dare due volte i soldi per acquistare armi o per pagare la caparra dell'appartamento di Gandoli; di avere strumentalizzato i giovani di Tp; di avere espresso giudizi sprezzanti su Vale per il solo fatto che era mulatto. Essi hanno anche sostenuto di avere voluto impedire che Mangiameli, che aveva mostrato bassissime qualità morali, raccogliesse la guida di Tp dopo la fuga di Fiore e di Adinolfi. Quest’ultimo addebito è falso: i due leader sono in latitanza operativa e decidono di fuggire all’estero solo dopo il successivo blitz del 23 settembre, che decima l’organizzazione.
In dibattimento Valerio conferma la ricostruzione del fratello ma occulta il ruolo di Mariani nel far cadere in trappola Mangiameli. Andava fermato – spiega – perché stava per assumere con Fiore e Adinolfi la direzione politica di molti giovani del movimento. Ma liquidandolo c’era il rischio che il suo entourage rivelasse l’operazione Concutelli per cui andavano eliminati tutti. Il rinvenimento del cadavere bloccò la caccia agli altri due leader di Tp. La partecipazione di Mariani è ricondotta dai giudici alla spaccatura interna a Tp dopo la strage,tra dirigenti preoccupati della propria libertà e falchi. Mariani avrebbe condiviso la voglia di far pulizia di Valerio e Vale essendo indignato con i leader, accusati di aver abbandonano il campo nel momento in cui occorreva difendere i ragazzini delle gravissime accuse lanciate dopo Bologna. Il suo ruolo fu decisivo per il successo dell’imboscata: la sua presenza di militante di Tp trasse in inganno Mangiameli. Soltanto un anno dopo, nel volantino di rivendicazione che conclude la campagna contro “coloro che colpiscono ai fianchi e pugnalano alle spalle”, Francesca liquida Mangiameli come “squallido profittatore, degno compare di quel Fiore e di quell’Adinolfi, rappresentanti naturali della vigliaccheria cronica. Non c'è spazio tra noi per gli scribacchini della Rivoluzione, incantatori di animi in buona fede: la mano della giustizia attende anche loro! Non faida quindi ma giustizia rivoluzionaria (...) Non abbiamo né poteri da inseguire né masse da educare, per noi quello che conta è rispettare la nostra etica per la quale i nemici si uccidono e i traditori si annientano!”.
(2 - continua)
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