Freda il rivoluzionario/2: Una vendetta ideologica e la difesa di Giannettini
La sentenza che assolve definitivamente il quarto gruppo di imputati per la strage di Piazza Fontana (dopo Freda e Ventura, Valpreda e Merlino, Delle Chiaie e Fachini è la volta di Maggi, Zorzi e Rognoni di essere prosciolti) entrerà sicuramente nei manuali di diritto.
Perché per la prima volta nella storia del processo penale italiano una giuria si piglia la briga, mentre assolve gli imputati (a essere fiscali c'è un condannato, il pentito Digilio che beneficia della prescizione, ma quest'istituto è ormai considerato equivalente all'assoluzione: Minzolini docet) di dichiarare colpevoli, a futura memoria e senza nessun effetto giuridico, due persone che in quel processo non c'entrano proprio, perché dalla stessa imputazione sono stati assolti.
Freda, che qualche nozione di diritto l'ha conservata, tra quattro anni di studio e quindici di pratica dall'altra lato della strada, non la prende troppo bene e consuma una "vendetta ideologica". Affida alla sua "assistente" la stesura di un pamphlet che esce anonimo perché se la stesura è della giovane collaboratrice, i contenuti sono tutti suoi: perché per quanto colta e brillante lei non poteva certo parlare in prima persona di cose successe dieci anni prima della sua nascita. E comunque di Anna k Valerio l'Editore ha grande stima, tanto da averle affidato il compito principale per la formazione dei suoi eredi per la "giusta battaglia".
Comunque il pamphlet è l'occasione per un'orgogliosa rivendicazione dell'attività svolta e ridotta sotto specie criminale dalla repressione dello Stato borghese. In questo contesto Freda restituisce l'onore al malcapitato Giannettini (che già aveva tutelato dai cattivi propositi dei prigionieri 'neri') disvelandone il coraggioso impegno di controinfiltrato, un altro miliziano oltre la linea:
Perché per la prima volta nella storia del processo penale italiano una giuria si piglia la briga, mentre assolve gli imputati (a essere fiscali c'è un condannato, il pentito Digilio che beneficia della prescizione, ma quest'istituto è ormai considerato equivalente all'assoluzione: Minzolini docet) di dichiarare colpevoli, a futura memoria e senza nessun effetto giuridico, due persone che in quel processo non c'entrano proprio, perché dalla stessa imputazione sono stati assolti.
Freda, che qualche nozione di diritto l'ha conservata, tra quattro anni di studio e quindici di pratica dall'altra lato della strada, non la prende troppo bene e consuma una "vendetta ideologica". Affida alla sua "assistente" la stesura di un pamphlet che esce anonimo perché se la stesura è della giovane collaboratrice, i contenuti sono tutti suoi: perché per quanto colta e brillante lei non poteva certo parlare in prima persona di cose successe dieci anni prima della sua nascita. E comunque di Anna k Valerio l'Editore ha grande stima, tanto da averle affidato il compito principale per la formazione dei suoi eredi per la "giusta battaglia".
Comunque il pamphlet è l'occasione per un'orgogliosa rivendicazione dell'attività svolta e ridotta sotto specie criminale dalla repressione dello Stato borghese. In questo contesto Freda restituisce l'onore al malcapitato Giannettini (che già aveva tutelato dai cattivi propositi dei prigionieri 'neri') disvelandone il coraggioso impegno di controinfiltrato, un altro miliziano oltre la linea:
"Perché D'Ambrosio, virtuoso dell'ipotesi, non si pose mai l'interrogativo: non poteva essere Giannettini l'infiltrato del gruppo di sediziosi entro i servizi segreti? Bastava rovesciare gli equilibri della questione. Non i ribaldi della reazione, ma gli uomini stessi dello Stato impiegati da questi come strumenti".(2-continua)
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