Mario Tuti sulla lotta armata, le stragi, il dolore e il perdono
Qualche settimana fa avevamo pubblicato, in due puntate , un lungo intervento di Mario Tuti a un convegno sull'esperienza penitenziaria e il riscatto. Ieri Radio 1 ha diffuso una lunga intervista. Ampi stralci sono stati pubblicati sulla pagina di facebook di Uomo nuovo, il movimento di detenuti ed ex detenuti che aveva animato il convegno. Ne riprendo quelli di più stretto interesse "storico"
La lotta armata
La lotta armata è come il carcere: non è comunicabile. Un po' come la maternità per una donna: possiamo starle vicino e magari assistere al parto, ma il resto che ne possiamo sapere... A mia figlia che mi chiedeva alla fine ho detto: di quel periodo e delle mie scelte, chiedi alla mamma. Nei primi tempi che sono uscito dal carcere, avevo ansia di parlare. Poi anche questa voglia di comunicare un'esperienza si è spenta per l'incapacità di dire quelle cose. Molti mi guardavano strano, come se fossi tornato da una guerra che avevano soltanto sentito raccontare. Una volta, a Roma, andai a firmare un permesso in un commissariato di polizia. Un funzionario chiamò i suoi colleghi più giovani e disse … Vedete, io e Tuti si sa cosa sono stati quegli anni. Noi siamo noi', diceva, voi no …”
Le stragi senza colpevoli
“E' Piazza Fontana a far scoppiare la tensione nel Paese. Da parte mia c'è una sorta di presa d'armi: se c'è una guerra, ci sto. Non è facile, ma non mi tiro indietro. Qualcuno l'ha dichiarata questa maledetta guerra e io non farò il disertore. La lotta armata nasce proprio da questa consapevolezza: ci avete demonizzato ? Bene, allora butto l'anima al diavolo ma mi avrete contro. Chi non ha fatto quella lotta, paradossalmente è oggi più incarognito, mentre chi l'ha combattuta cerca la pace”.
Un carcere durissimo
“Li ho passati tutti i bracci e braccetti. Inizialmente eravamo pochissimi detenuti politici. I compagni si sentivano in un ambiente estraneo. Noi, invece, eravamo abituati a essere emarginati. Quando però i rossi hanno incominciato ad essere più numerosi, sono seguiti periodi di scontri anche dietro le sbarre. Poi, verso la metà degli anni '80 abbiamo ricominciato a parlarci, raccontandoci i rispettivi immaginari. Quando portammo in scena uno spettacolo di burattini, un maestro di scuola mi disse che era parente di un ideologo delle Brigate Rosse. Gli risposi: quando lo vedi, digli di venire in carcere a portarmi vino e dolci perché sono qui per colpa sua. Perché faceva una rivista su cui scriveva che i fascisti erano cattivi. Ho preso le armi per questo e ora lui doveva farsi carico di me. Non venne con le arance, ma mi fece sapere che se avessi avuto bisogno mi avrebbe dato una mano. In Italia dopo decenni non si sa chi ha davvero fatto le stragi. C'è un buco nero. Ma non è un nero fascista”
L'Italicus
Sulle stragi abbiamo fatto indagini anche noi neri, in carcere. A Novara, agli inizi del 1981, c'erano vari nostri gruppi, di cui facevano parte Pedretti e altri. Cercammo d chiarirci le cose: il patto era che dovevamo dirci tutto quello che sapevamo, senza reticenze. In quel periodo, dentro e fuori dal gabbio eravamo davvero feroci. Ma non emerse nulla. Per l'Italicus, venne chiamato a testimoniare Scolari, un professore universitario. La notte prima del processo si è impiccato lasciando una lettera molto strana in cui diceva: ‘Io ho sempre servito il partito'.
Dopo quel fatto, non ha più parlato nessuno. E non si commemora mai la strage dell'Italicus: cose strane. In primo grado vengo assolto su richiesta dello stesso pm; poi tra il primo e secondo grado di giudizio escono i pentiti neri come Vinciguerra e Izzo, che pure ci scagionano. A quel punto inspiegabilmente veniamo condannati. Mi assolveranno nel '92. Sono rimasto sereno: ci vorranno cinquant'anni, ma prima o poi qualcuno prenderà in mano quelle settantamila pagine del processo e vedrà come stanno le cose. Di fatto, le piste alternative alla strage fascista non sono state battute. Più comoda la vulgata dei neri bombaroli. Eppure l'unica strage che ha un'impronta dei servizi o dei compagni è proprio l'Italicus”.
Il dolore dei familiari delle vittime -
“Ho grande sofferenza per il dolore che ho causato a quelle famiglie. E' il caso di Anna Falco, la figlia di Leonardo Falco. Lo Stato non l'ha sostenuta, ma questo non è colpa mia. Quanto al perdono, è una cosa che si da'. Chiederlo è strumentale, però sarei sollevato se lei volesse perdonarmi. A me dispiace solo del male che ho fatto. Per quanto riguarda quello subito, me lo sono cercato”.
Eccezionale. Solo due cose:
RispondiElimina1) cosa si sa di Scolari? E' un nome/episodio che non mi torna...
2) Che cosa intende Tuti con "Eppure l'unica strage che ha un'impronta dei servizi o dei compagni è proprio l'Italicus", che a suo giudizio ci sono altre stragi che recano un'impronta nera?
Saluti e, come sempre, complimenti per il blog.
Francesco