Bruno Labate, chi?
Se lo chiedi a Google, la prima risposta che ti arriva è quella di Reti invisibili, un progetto della memoria "rossa", dedicato ai militanti (e non solo: ci sono anche semplici vittime della brutalità poliziesca come Aldovrandi o il ragazzino cingalese di Como dal nome impossibile ucciso da un vigile dal grilletto facile) caduti nel corso degli anni per mano delle forze dell'ordine o dei fascisti.
Ed è strano: perché Bruno Labate è la prima vittima della rivolta di Reggio Calabria, ridotto in fin di vita nella tarda serata del 15 luglio 1970 (giusto 40 anni fa), dopo una giornata di asperrimi scontri.
A scatenarli le violente cariche della polizia per liberare la stazione occupata da un gruppo di giovani: decine i feriti, una decina gli arrestati. E' la scintilla che incendia la prateria: una folla enorme si riversa nella piazza principale, gli scontri dilagano con crescente durezza, alla fine della giornata si conteranno 45 feriti, quasi tutti poliziotti, perché i rivoltosi in ospedale non ci vanno. Uno dei pochi civili che ci arriva è un ferroviere della Cgil, ritrovato agonizzante in un vicolo di corso Garibaldi alle 23.30. E' Bruno Labate, appunto, che non ce la fa. I suoi funerali segnano un'altra tappa dell'escalation militare: mille giovani assaltano la questura e a stento il questore Santillo impedisce i poliziotti di aprire il fuoco, evitando una carneficina.
Nel senso comune la rivolta di Reggio è passata come un episodio di Vandea, ma questo giudizio pecca di una sorta di spocchia da azionismo piemontese, sprezzante nei confronti dei plebei terroni. Quarant'anni dopo è forse il caso di cominciare a interrogarsi e provare a rispondersi su due questioni intrecciate:
1) come mai la destra neofascista, elitaria e aristocratica, ha trovato l'unica occasione di egemonia nei movimenti proprio in occasione di una rivolta ultrapopolare?
2) perché la sinistra che è stata capace, sull'onda lunga del biennio rosso '68-'69, di dialogare con tutti i ceti sociali e gestire tutti i conflitti, dai senzatetto delle borgate ai contrabbandieri napoletani, si è fermata impaurita (con poche eccezioni: i maoisti dell'Unione, Sofri) davanti alla rivolta popolare?
Ce lo chiede il ferroviere Bruno Labate.
E' possibile analizzare nel dettaglio il ruolo dei movimenti di destra nella Rivolta di Reggio e le cause scatenanti la medesima?
RispondiEliminaun 13 vendemmiaio necessario..
RispondiEliminase c'è una tragia costante nella storia recente e meno recente di questo paese é l'uso strumentale a bassi fini politici della piazza. Se ci fermiamo a ragionare un momento troveremo che non c'é assolutamente niente di più antidemocratico e fazioso del tumultuare nelle strade arrogandosi il diritto di decidere "manu militari" per la maggioranza del paese avendo come legittimazione la sola forza del numero. In genere si finisce per dimenticare che anche se si riempie un luogo fisico cittadino, alla fine della fiera, si rimane nemmeno minoranza ma addirittura frazione di essa.
Cari amici se pensate che esageri fate mente locale alla marcia dei 40.000 della FIAT nel 1980; i sindacati massimalisti non si sono ancora ripresi da quella che fù chiaramente un allucinazione. per anni essi avwevano coltivato l'erronea percezione di contare, di più essere di più, solo perche si strillava di più. E' cronanca recentissima la polemica delle piazze e delle adunate oceaniche reclamate da governo e opposizione e fà francamente ribrezzo osservare la stizza con cui rispondono alla questura di roma che fà semplicemtne osservare che i numeri citati sono da tagliare due volte per una semplice questione di spazio fisico che non sarebbe nememno da discutere se la rivendicazione del numero come potenza e dell'occupazione tribale dello spazio fisico pubblico non fosse l'unica "vera" legittimazione di questi partiti e movimenti antidemocratici. Ma é costume antico, saltiamo le guerra civili di Mario e Silla , ma la più grave jattura di questo paese: la sconfitta bellica e la conseguente occupazione militare americana deriva proprio dalla reiterazione di questa mania tutta italiana della "democrazia di piazza" coniugata dall'incapacità dello stato liberale, in questo caso, democratico resitenzuiale dal 1945 in poi, di aver fiducia nella sua legittimazione costituzionale e legale , ovvero il vto, e la mancanza di coraggio a difendere la sua potestà d'imperio. Al periodo cui mi riferisco in particolare: il biennio rosso, cioé a quel fenomeno socio politico "intenzionalmentei dimenticato" di preparazione della rivoluzuione bolscevica da parte di leghe rosse e di una parte consistente della base socio- comunista nel 1920,che fatalmente, fù seguito da una reazione, di segno opposto ma speculare nella prassi ( la marcia su Roma.Se Re pippetto avesse avuto coraggio e avesse spedito Badoglio a cannoneggiare prima le "guardie rosse di occupazione" (non un consiglio di fabbrica ma ex militari armati di mitragliatrici pesanti e poi l'improbabile armata fascista magari oggi l'Italia si sarebbe incamminata verso una democrazia compiuta grazie ad una naturale politica riformista e saremmo magari una monarchia csotituzionale come quell danesi.
In epoca repubblican vogliamo dimenticare i fatti di genova e il governo Tambroni comunque "DEMOCRATICAMENTE ELETTO" e fatto cadere tramite una jaquerie programmata a freddo?!! vero e prorio colpo di stato se ci riferiamo alla definizione che ne dà lo zingarelli? Tornando a Reggio Calabria: il problema qual'era l'attribuzione del capoluogo di provincia? e in un paese civile questo é il sistema di comporre i dissidi? io spero che nella nostra storia prima o poi compaia un giovane Bonaparte che alla canaglia riservi la giusta mercede..non dimentichiamoci che la Francia è diventata grande perche la rivoluzione si è stabilizzata proprio in virtu delka consapevolezza che una buona scarica di cannoni a mitraglia ad alzo zero é la risposta ad agire fuori della prassi legale e bonaparte ha mostrato a tutte le teste calde che , contrariamente a quanto era successo fino a quel momento, uno Sstato c'era e non avrebbe abdicato di fronte alle picche della marmaglia.
Proprio ieri mattina guardavo su RaiTre una vecchia puntata de LA STORIA SIAMO NOI dedicata ai moti popolari di Reggio Calabria. La mia è la generazione dei giovani missini anni '70 e '80 che ha sempre guardato con simpatia e ammirazione a quella pagina drammatica della rivolta di Reggio. Un moto spontaneo del popolo, che stanco delle false promesse del corrotto regime democristiano, scese giustamente in piazza a muso duro per protestare, fronteggiando le forze dell'ordine e qualche mese dopo, visto il suo perdurare, i blindati dell'esercito. I grandi media, soprattutto del Nord, guardavano con sospetto, se non con disprezzo, la rivolta di quei "terroni" di Reggio di Calabria. Il PCI, che pure in altre occasioni aveva scatenato le piazze (vedi Genova luglio 1960) si tenne distante e ostacolò quella protesta. Certo anni dopo leggeremo che c'erano state infiltrazioni della 'ndrangheta e di movimenti della destra extraparlamentare (lascio a te profondo conoscitore della "fascisteria" gli approfondimenti del caso). Anche il MSI a Roma all'inizio non credo fosse molto convinto, ma alcuni suoi uomini, in primis Aloi, scelsero subito la strada dell'adesione più convinta. La pubblicistica democratica e antifascista all'epoca calcò coloristicamente la penna su Ciccio Franco, sindacalista della Cisnal e in seguito parlamentare del MSI-DN, per screditare la convinta partecipazione di grandi masse di popolo, che era nè fascista nè missino. Si preferì giornalisticamente trattare del "Boia chi molla", senza cercare di capire in profondità le ragioni di un popolo disoccupato, affamato e povero di vie di comunicazione. D'altra parte sono passati 40 anni e il mirabolante visionario centro siderurgico di Gioia Tauro è morto, la Salerno-Reggio Calabria è ancora da terminare, l'agricoltura è agonizzante e la legalità dello Stato ha delegato il potere alle cricche criminali e affaristiche (con troppo spesso il beneplacito di politici locali e nazionali).
RispondiElimina@Anonimo: sì è possibile, e io sono anche qualificato per farlo ma per me non è l'opzione principale. In questa fase, dopo un forsennato periodo di produzione editoriale attenta alla ricostruzione storica e cronachistica (in 7 anni ho scritto 5 libri densissimi di fatti per un totale di 2300 pagine) mi piace di più ragionare sui linguaggi, sui meccanismi di costruzione e di trasmissione della memoria, sulle contraddizioni delle macchine politiche. Ma sicuramente qualche materiale interessante nei prossimi giorni sarà prodotto
RispondiEliminaGiovanni, accetto latua sfida, e proprio perché mi chiedi di parlare delle infiltrazioni della ndrangheta domani mattina il primo post che pubblico sarà il capitolo di Fascisteria 2001 in cui dimostro come sia una puttanata (ripresa in certe affabulazioni giornalistiche sull'ultimo blitz) la massomafia o comunque in particolare la fantomatica affiliazione di Freda
Teo, ti ringrazio per il contributo importante che ci hai dato, che arrichisce il blog e me personalmente ma non ho specifiche competenze di sociologia politica e della psicologia delle masse e mi è particolarmente caro l'aforisma di Wittgenstein che spie ga che su quello su cui non si ha nulla da dire è meglio tacere.
basta leggere il libro di Fabio Cuzzola "Reggio 1970. Storie e memorie della Rivolta" Donzelli editore. per trovare tutte le risposte sulla rivotla reggina.
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