Un anno dopo
Giusto un anno fa, la notte tra il 3 e il 4 giugno, un attentato incendiario contro la sede bolognese di casa Pound metteva in pericolo le persone di Alex "Chopper" Vigliani, leader del gruppo, e della sua compagna Giorgia, incinta.
Un mio articolo sul quotidiano "Gli altri" che ricostruiva i fatti e denunciava le modalità particolarmente gravi dell'azione è diventato un ulteriore capo d'accusa nel "processo" che l'antifascisteria più radicale mi muove da tempo. Per l'occasione, ovviamente, veniva chiamato in correità Sansonetti e il suo giornale. Poche settimane dopo "Liberazione" e "Il Manifesto" pubblicavano una lettera di due comitati romani che lanciavano una sorta di fatwa nei nostri confronti per "leso antifascismo".
La mia determinazione a difendere la scelta del confronto è sbattuta contro un muro di gomma. Anche intellettuali raffinati, come Wu Ming 1 e Girolamo De Michele, che pur continuano ad apprezzare le mie qualità di ricercatore storico-sociale, non hanno dubbi. Con i fascisti non si parla e basta: farlo li legittima ed è un errore imperdonabile.
In quest'anno sono successe altre cose. "Gli altri" è diventato un settimanale e io non ci scrivo più, ma Sansonetti e i suoi hanno proseguito la loro traiettoria di distacco da certe logiche identitarie in nome di un più netto libertarismo. Io ho perseguito il confronto con i fascisti, mantenendo immutate distanze e differenze. E' nata, senza danni, la creatura di Giorgia e Alex Vigliani, che però ha lasciato Bologna e si è distaccato dall'ambiente di Casa Pound. Perché, checché ne pensi qualche imbecille, le persone cambiano, ed è questa la ragione di fondo per cui continuiamo a mantenere viva una fiammella di speranza in questi tempi cupi e tristi.
Più tardi pubblicherò il testo scritto da Vigliani per l'anniversario, una lettera aperta in cui chiede giustizia.
Un mio articolo sul quotidiano "Gli altri" che ricostruiva i fatti e denunciava le modalità particolarmente gravi dell'azione è diventato un ulteriore capo d'accusa nel "processo" che l'antifascisteria più radicale mi muove da tempo. Per l'occasione, ovviamente, veniva chiamato in correità Sansonetti e il suo giornale. Poche settimane dopo "Liberazione" e "Il Manifesto" pubblicavano una lettera di due comitati romani che lanciavano una sorta di fatwa nei nostri confronti per "leso antifascismo".
La mia determinazione a difendere la scelta del confronto è sbattuta contro un muro di gomma. Anche intellettuali raffinati, come Wu Ming 1 e Girolamo De Michele, che pur continuano ad apprezzare le mie qualità di ricercatore storico-sociale, non hanno dubbi. Con i fascisti non si parla e basta: farlo li legittima ed è un errore imperdonabile.
In quest'anno sono successe altre cose. "Gli altri" è diventato un settimanale e io non ci scrivo più, ma Sansonetti e i suoi hanno proseguito la loro traiettoria di distacco da certe logiche identitarie in nome di un più netto libertarismo. Io ho perseguito il confronto con i fascisti, mantenendo immutate distanze e differenze. E' nata, senza danni, la creatura di Giorgia e Alex Vigliani, che però ha lasciato Bologna e si è distaccato dall'ambiente di Casa Pound. Perché, checché ne pensi qualche imbecille, le persone cambiano, ed è questa la ragione di fondo per cui continuiamo a mantenere viva una fiammella di speranza in questi tempi cupi e tristi.
Più tardi pubblicherò il testo scritto da Vigliani per l'anniversario, una lettera aperta in cui chiede giustizia.
Caro Ugo, le persone cambiano a tal punto che il buon chopper, nella sua vita precedente a Torino, faceva l'antifascista militante e veniva allontanato dai compagni quando simulò di essere stato vittima di un agguato fascista.
RispondiEliminaPersino i protocolli di polizia giudiziaria considerano inutilizzabili le lettere anonime ...
RispondiEliminaComunque, tanto per ragionare in astratto, quando sono stato a Bologna a partecipare a un dibattito con Adinolfi proprio nella sede di Casa Pound mi sembrarono autentiche le ferite che lui e il giovane dj avevano riportato in una recentissima rissa con i militanti del Tpo.
Quanto alla simulazione, beh, nell'ultimo anno praticamente ogni rissa tra rossi e neri viene raccontata da due gruppi di vittime e non si trova mai un aggressore. La mia decennale esperienza di strada mi insegna che una rissa comincia sempre con un'aggressione. Qualche volta, e sono le migliori, le risse cominciano con entrambi i gruppi che attaccano. Mai il contrario.