Come tornare a essere fascisti, ed essere felici. Cinque pezzi facili.
Mi scrive su Facebook uno studente di filosofia della Statale di Milano per sottoporre al mio giudizio un pezzo da lui scritto per il giornale universitario e pubblicato dopo un pesante editing redazionale. Poiché l'originale è scritto meglio e si approssima molto di più a cogliere e a restituire l'identità dei fascisti del terzo millennio, e la questione si intreccia evidentemente con le riflessioni di questi giorni, a partire dal libro di Antolini e dalla polemica in corso sulle pagine del "Quotidiano di Basilicata" ve lo propongo in versione integrale, segnalandovi anche la discussione in corso su vivamafarka, il forum di riferimento dei poundisti
di GIUSEPPE ARGENTIERI
Avvertenza:
Il discorso che segue, è il frutto di una conversazione con Marco Arioli, il responsabile di CasaPound Milano, in un bar nelle vicinanze di Piazza Fontana; la conversazione in oggetto ha contribuito a ispirare quanto qui è scritto: non si tratta assolutamente di una fedele trascrizione.
1. Farla finita con l’antifascismo, e cominciare a pensare il nuovo. Qualche mese fa, un uomo la cui emblematicità è riassunta dai giornali in una formula: uno che non ha niente da perdere, a nome Svastichella, ha aggredito due omosessuali che si scambiavano un bacio, all'uscita del Gay Village a Roma. In seguito a episodi simili, è stato indetta una fiaccolata contro razzismo e omofobia, contro qualunque discriminazione. Hanno partecipato: gay, lesbiche, trans, ecc. Ma non tutti sono stati ammessi, sono stati infatti esclusi i fascisti romani di CasaPound, che avevano richiesto di poter aderire. Non è così facile spiegare perché, se pensiamo che l'associazione, diversamente dalla clericale Forza Nuova, come anche dalla stessa maggioranza al governo, non ha nulla - per fare un esempio - contro la regolarizzazione legislativa delle coppie di fatto. Sorprendentemente antirazzisti - per farne un altro – condividono col mondo civile l'idea che non è l'immigrato bisognoso d’aiuto il problema, ma le modalità con le quali si deve gestire l'immigrazione irregolare.
Non è questo un modo di confrontarsi col fascismo di oggi, che resta impigliato nella stessa logica che cerca di condannare? Cos'è la dittatura se non una spietata esclusione degli oppositori? Su un muro nei pressi della Statale, si può leggere: fuori i fascisti dall'università. Non sarebbe meglio liberarsi una volta per tutte dell'universo simbolico del fascismo, preteso tale, facendola finita con la logica dell'esclusione, e una volta per tutte anche con l'antifascismo, come talismano ipocrita, tolto il quale nulla resta?
2. Sviluppare biodiversità, e biocompatibilità. La legge Scelba, del ‘52 riguarda la propaganda politica esercitata allo scopo di ricostituire il “disciolto partito fascista”, di cui viene - questa la sua ratio giuridica - evidenziata la finalità antidemocratica. Nonostante l'enfasi posta su quest’aspetto, non si può tuttavia nascondere il fatto, che la democrazia stessa si fonda sullo sfondamento, sullo squilibrio, sul continuo tracimare dei propri confini. Quanto siamo realmente consapevoli delle libertà di cui godiamo oggi? Non è forse la nostra libertà e la democraticità delle nostre istituzioni continuamente messa in dubbio, al punto che con questa sfiducia - costante, fastidiosa - siamo cresciuti? Lo sviluppo tecnologico, mostruoso, di cui siamo figli non ha fatto altro che accrescere questa sensazione di oppressione, di controllo anonimo e costante, nutrendo una sorta di paranoia collettiva. Siamo così incapaci di percepire le nostre reali possibilità, il nostro posto nel mondo, da concedere più facilmente fiducia a qualche tutto sommato ridicola, incomprensibile classifica, stilata da chissà chi chissà come*, piuttosto che a noi stessi, al nostro sentire. Il problema della libertà, come della democrazia, è sempre lo stesso, cercare di capire la natura degli “argini”. Oggi per essere buttati fuori dalla televisione di Stato basta dire che si sono mangiati dei gatti. Ma di cosa abbiamo paura davvero? Dei fascisti? Sono loro il problema?
* mi riferisco a Freedom House, che ci apparentava al Tonga. Ma ne escono continuamente di classifiche simili, che misurano - numeri alla mano - il livello di salute della nostra vita pubblica e privata. Ma non ci si sentiva meglio quando non era possibile misurare col termometro la libertà? Non è questo un altro segnale dei nostri tempi, della nostra ossessione per il controllo?
3. L’impegno. Che fare?, scriveva Lenin, nel lontano 1902. Chi oggi fa davvero qualcosa perché almeno un frammento di ciò che non ci piace cambi? Non è il nostro unico talento il lamento e, alla bisogna, la facilità con la quale ci si adatta, senza aver minimamente la voglia di muoversi perché le cose si muovano? Si litiga sulla politica, con lo stesso livore, e con lo stesso sentimento di impotenza, con il quale si discute di sport. C’è sempre qualcosa da fare: nelle strade, i volontari di CP, fascisti*, distribuiscono la spesa ai poveri, nelle scuole, cercano di diffondere/proporre un modello economico differente come risposta all'emergenza edilizia, il “mutuo sociale”, fondato sul principio del diritto alla proprietà della casa, non poi così anacronistico, considerando l'origine della recente crisi finanziaria mondiale; in Abruzzo una squadra di ragazzi ha contribuito alla ricostruzione di Poggio Picense, al punto da spingere il sindaco - di centro sinistra - ad affidare a loro l'organizzazione di una biblioteca comunale, dedicata ad Ezra Pound. Non è forse la più evidente delle morti della politica, la morte dell'impegno?
* non sono i soli, ovviamente.
4. Sull’essenza della Storia. Non nascondiamocelo, ognuno racconta la propria storia a modo suo. Ogni racconto è il tentativo di nascondere qualcosa, di spiegarsi, insomma di trovare una scusa. Il fascista, nell'esaltazione e nella riscoperta di un periodo storico particolare, in assoluta controtendenza con quanto viene stampato nella propaganda di Stato, studiata a scuola, svela l'essenza vera del (nostro approccio al) passato: la sua essenza creativa. Il passato non è meno suscettibile d'invenzione del futuro. Ogni epopea nazionale lo dimostra. La creazione non è altro che una forzatura liberatoria. Certo, chi di noi crede che per creare davvero - ed essere liberi davvero - sia necessario sbarazzarsi della Storia, per farla finita col languore dello spirito esacerbato dall'eterno ritorno dell'uguale, non potrà che restare deluso. Per quanto interessante possa risultare la minuziosa disamina del multiforme proliferare dei soggetti storici - espressione di un'unica seppur sfuggente, inafferabile natura -, ciò che la Storia non può spiegare, né aiuta a guarire, è la vita stessa, l'imponderabile spazio che distanzia causa ed effetto; spegnere solo può il fuoco dello spirito dell'Utopia.
5. Sulla violenza. Noi così perbenisti, fin dalla culla, pensavamo che fare del male a qualcuno fosse, appunto, un male. Ma si può prescindere sempre dalla violenza? Non è la violenza stessa all'origine di qualunque patto sociale, e garanzia del mantenimento dello stesso? À la Benjamin: “creazione di diritto è creazione di potere, e in tanto un atto di immediata manifestazione di violenza”. Quanto conta, nel nostro rifiuto della stessa, la paura - di essere ripagati con la stessa moneta qualora violassimo il patto sociale esercitandola -? Quanto conta la paura di farsi male, nel nostro non voler far del male a qualcuno? Quanto siamo disposti a sopportare pur di non doverci trovare nella sgradevole situazione di dover fare qualcosa, a nostro rischio e pericolo?
Eppure, perché le cose cambino davvero, è necessario che si compia almeno un certo tipo di violenza, quella contro sé stessi: è necessario cioè che il singolo rinunci al proprio utile, e alla propria noia, perché possa davvero cominciare qualcosa. Altrimenti non c'è politica (ma ci interessa?), e non c'è morale. Resta solo il feticcio della morale, al quale ci aggrappiamo spaventati. Non è contro questo che, persino chi è fascista, combatte? È necessario: non essere da meno, oppure essere all’altezza del proprio rifiuto.
Anch’io fui, naturalmente, fascista, perché allora era fascista chiunque ora, per le identiche ragioni, è antifascista: solo che io ero fascista con la ‘mentalità protestante’.
Curzio Malaparte
PS: Lo studente si definisce di simpatie anarchiche ...
di GIUSEPPE ARGENTIERI
Avvertenza:
Il discorso che segue, è il frutto di una conversazione con Marco Arioli, il responsabile di CasaPound Milano, in un bar nelle vicinanze di Piazza Fontana; la conversazione in oggetto ha contribuito a ispirare quanto qui è scritto: non si tratta assolutamente di una fedele trascrizione.
1. Farla finita con l’antifascismo, e cominciare a pensare il nuovo. Qualche mese fa, un uomo la cui emblematicità è riassunta dai giornali in una formula: uno che non ha niente da perdere, a nome Svastichella, ha aggredito due omosessuali che si scambiavano un bacio, all'uscita del Gay Village a Roma. In seguito a episodi simili, è stato indetta una fiaccolata contro razzismo e omofobia, contro qualunque discriminazione. Hanno partecipato: gay, lesbiche, trans, ecc. Ma non tutti sono stati ammessi, sono stati infatti esclusi i fascisti romani di CasaPound, che avevano richiesto di poter aderire. Non è così facile spiegare perché, se pensiamo che l'associazione, diversamente dalla clericale Forza Nuova, come anche dalla stessa maggioranza al governo, non ha nulla - per fare un esempio - contro la regolarizzazione legislativa delle coppie di fatto. Sorprendentemente antirazzisti - per farne un altro – condividono col mondo civile l'idea che non è l'immigrato bisognoso d’aiuto il problema, ma le modalità con le quali si deve gestire l'immigrazione irregolare.
Non è questo un modo di confrontarsi col fascismo di oggi, che resta impigliato nella stessa logica che cerca di condannare? Cos'è la dittatura se non una spietata esclusione degli oppositori? Su un muro nei pressi della Statale, si può leggere: fuori i fascisti dall'università. Non sarebbe meglio liberarsi una volta per tutte dell'universo simbolico del fascismo, preteso tale, facendola finita con la logica dell'esclusione, e una volta per tutte anche con l'antifascismo, come talismano ipocrita, tolto il quale nulla resta?
2. Sviluppare biodiversità, e biocompatibilità. La legge Scelba, del ‘52 riguarda la propaganda politica esercitata allo scopo di ricostituire il “disciolto partito fascista”, di cui viene - questa la sua ratio giuridica - evidenziata la finalità antidemocratica. Nonostante l'enfasi posta su quest’aspetto, non si può tuttavia nascondere il fatto, che la democrazia stessa si fonda sullo sfondamento, sullo squilibrio, sul continuo tracimare dei propri confini. Quanto siamo realmente consapevoli delle libertà di cui godiamo oggi? Non è forse la nostra libertà e la democraticità delle nostre istituzioni continuamente messa in dubbio, al punto che con questa sfiducia - costante, fastidiosa - siamo cresciuti? Lo sviluppo tecnologico, mostruoso, di cui siamo figli non ha fatto altro che accrescere questa sensazione di oppressione, di controllo anonimo e costante, nutrendo una sorta di paranoia collettiva. Siamo così incapaci di percepire le nostre reali possibilità, il nostro posto nel mondo, da concedere più facilmente fiducia a qualche tutto sommato ridicola, incomprensibile classifica, stilata da chissà chi chissà come*, piuttosto che a noi stessi, al nostro sentire. Il problema della libertà, come della democrazia, è sempre lo stesso, cercare di capire la natura degli “argini”. Oggi per essere buttati fuori dalla televisione di Stato basta dire che si sono mangiati dei gatti. Ma di cosa abbiamo paura davvero? Dei fascisti? Sono loro il problema?
* mi riferisco a Freedom House, che ci apparentava al Tonga. Ma ne escono continuamente di classifiche simili, che misurano - numeri alla mano - il livello di salute della nostra vita pubblica e privata. Ma non ci si sentiva meglio quando non era possibile misurare col termometro la libertà? Non è questo un altro segnale dei nostri tempi, della nostra ossessione per il controllo?
3. L’impegno. Che fare?, scriveva Lenin, nel lontano 1902. Chi oggi fa davvero qualcosa perché almeno un frammento di ciò che non ci piace cambi? Non è il nostro unico talento il lamento e, alla bisogna, la facilità con la quale ci si adatta, senza aver minimamente la voglia di muoversi perché le cose si muovano? Si litiga sulla politica, con lo stesso livore, e con lo stesso sentimento di impotenza, con il quale si discute di sport. C’è sempre qualcosa da fare: nelle strade, i volontari di CP, fascisti*, distribuiscono la spesa ai poveri, nelle scuole, cercano di diffondere/proporre un modello economico differente come risposta all'emergenza edilizia, il “mutuo sociale”, fondato sul principio del diritto alla proprietà della casa, non poi così anacronistico, considerando l'origine della recente crisi finanziaria mondiale; in Abruzzo una squadra di ragazzi ha contribuito alla ricostruzione di Poggio Picense, al punto da spingere il sindaco - di centro sinistra - ad affidare a loro l'organizzazione di una biblioteca comunale, dedicata ad Ezra Pound. Non è forse la più evidente delle morti della politica, la morte dell'impegno?
* non sono i soli, ovviamente.
4. Sull’essenza della Storia. Non nascondiamocelo, ognuno racconta la propria storia a modo suo. Ogni racconto è il tentativo di nascondere qualcosa, di spiegarsi, insomma di trovare una scusa. Il fascista, nell'esaltazione e nella riscoperta di un periodo storico particolare, in assoluta controtendenza con quanto viene stampato nella propaganda di Stato, studiata a scuola, svela l'essenza vera del (nostro approccio al) passato: la sua essenza creativa. Il passato non è meno suscettibile d'invenzione del futuro. Ogni epopea nazionale lo dimostra. La creazione non è altro che una forzatura liberatoria. Certo, chi di noi crede che per creare davvero - ed essere liberi davvero - sia necessario sbarazzarsi della Storia, per farla finita col languore dello spirito esacerbato dall'eterno ritorno dell'uguale, non potrà che restare deluso. Per quanto interessante possa risultare la minuziosa disamina del multiforme proliferare dei soggetti storici - espressione di un'unica seppur sfuggente, inafferabile natura -, ciò che la Storia non può spiegare, né aiuta a guarire, è la vita stessa, l'imponderabile spazio che distanzia causa ed effetto; spegnere solo può il fuoco dello spirito dell'Utopia.
5. Sulla violenza. Noi così perbenisti, fin dalla culla, pensavamo che fare del male a qualcuno fosse, appunto, un male. Ma si può prescindere sempre dalla violenza? Non è la violenza stessa all'origine di qualunque patto sociale, e garanzia del mantenimento dello stesso? À la Benjamin: “creazione di diritto è creazione di potere, e in tanto un atto di immediata manifestazione di violenza”. Quanto conta, nel nostro rifiuto della stessa, la paura - di essere ripagati con la stessa moneta qualora violassimo il patto sociale esercitandola -? Quanto conta la paura di farsi male, nel nostro non voler far del male a qualcuno? Quanto siamo disposti a sopportare pur di non doverci trovare nella sgradevole situazione di dover fare qualcosa, a nostro rischio e pericolo?
Eppure, perché le cose cambino davvero, è necessario che si compia almeno un certo tipo di violenza, quella contro sé stessi: è necessario cioè che il singolo rinunci al proprio utile, e alla propria noia, perché possa davvero cominciare qualcosa. Altrimenti non c'è politica (ma ci interessa?), e non c'è morale. Resta solo il feticcio della morale, al quale ci aggrappiamo spaventati. Non è contro questo che, persino chi è fascista, combatte? È necessario: non essere da meno, oppure essere all’altezza del proprio rifiuto.
Anch’io fui, naturalmente, fascista, perché allora era fascista chiunque ora, per le identiche ragioni, è antifascista: solo che io ero fascista con la ‘mentalità protestante’.
Curzio Malaparte
PS: Lo studente si definisce di simpatie anarchiche ...
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