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Caso Saviano: le ragioni e il torto di Daniele Sepe

I dubbi e le questioni che Daniele Sepe solleva nel suo recentissimo intervento sul "Manifesto" sono assolutamente condivisibili. Il geniale sassofonista, infatti, attinge a un arsenale argomentativo che mi è ben noto e che condivido: contro le derive giustizialiste, che sostituiscono il codice penale al "Capitale" come livre de chevet, contro il feticismo del consumo. Certo, io ho provato ad applicare l'aforisma brechtiano sulla natura criminale delle banche anche al nodo fascismo-razzismo-xenofobia (è sicuramente più criminale e fa più danni il governo che legifera sull'immigrazione clandestina di quattro picchiatori fascistoidi) ma Sepe è stato tra i più decisi nell'accusarmi di tradimento e/o rincoglionimento. Evidentemente chi è capace di parlare male di Saviano (ben venga) non è ancora (né lo sarà mai) disposto a rompere con il tabù e il mito fondativo dell'antifascismo e della Resistenza.
Non ho letto il libro di Del Lago ma conosco alcune delle critiche che circolano in Rete da tempo: sulle forzature, sulle appropriazioni indebite, sulle millanterie. Molto probabilmente sono vere: così come è reale il dato che Saviano pubblica per Mondadori, una circostanza straziante e intollerabile per i suoi tanti groupie che sono convinti che il presidente del Consiglio sia il puparo delle stragi del '92-'93. Comunque anche Sabina Guzzanti continua a sopravvivere, senza danni, ad altrettanto disonore.
Eppure i critici devono arrendersi a un'evidenza: l'opera di talento vive un'esistenza autonoma dal suo autore. E' così per il libro ma anche per la connessa operazione di diffusione e marketing, in cui Saviano si è rivelato un autentico genio, rilanciando i temi dell'attualità e della necessità di una mobilitazione di massa e di un'attivazione delle coscienze per combattere la criminalità organizzata (e anche in questo caso un aforisma brechtiano ci starebbe proprio, quello del nemico che marcia alla tua testa...), assurgendo quindi a uno stato di intangibilità (oltre che a una difficoltosa condizione esistenziale).
In fondo era già successo: con il giudice Falcone. Ma nel suo caso si era dovuto aspettare il martirio, perché in vita, invece era rimasto schiacciato nella tenaglia della pressione mafiosa e della maldicenza antimafiosa. Purtroppo per lui, di quest'assunzione in cielo del suo più stretto collaboratore non ha goduto Claudio Martelli...

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